«Questa piazza mi dà la forza e il coraggio di andare avanti, voi mi chiedete di ripensarci? Ci penso, non vi deluderò». Sono le 13 quando Ignazio Marino dalla scalinata del Campidoglio parla al migliaio di fan che sono venuti per chiedergli di ritirare le dimissioni. Il sindaco chirurgo, il “marziano”, indossa un sobrio girocollo blu, ma entra nella parte del guerrigliero che la piazza gli chiede di interpretare. «Noi siamo realisti, vogliamo l’impossibile», scandisce, citando Ernesto Che Guevara. E l’impossibile è in questo caso restare sulla poltrona di sindaco contro il Pd e contro palazzo Chigi. O almeno lasciare dopo essere stato sfiduciato nell’Aula Giulio Cesare. La sfida è per il Pd e per Matteo Renzi che contavano di archiviare il caso il 2 novembre, ultimo giorno utile dei venti previsti dalla legge per il ritiro delle dimissioni. Bene, Marino potrebbe ripensarci e ritirare le dimissioni. «Resisti, resisti, resisti», lo incita la folla. In piazza ci sono anche elettori del Pd. C’è l’ex segertario cittadino, Miccoli, oggi deputato. È lui che spiega la exit strategy del “marziano”. «Il sindaco sta pensando di andare in aula e chiedere la fiducia costringendo il Pd a votargli contro insieme alla destra, combatterà fino alla fine; ma questo braccio di ferro non conviene a nessuno e va evitato, non cedo che convenga a Renzi», avverte. Come evitarlo? «La proposta è questa: aprire un confronto che duri sei mesi, in questo periodo Marino resta sindaco e il Pd decide di volta in vola se appoggiare le sue proposte, una sorta di appoggio esterno», dice ancora Miccoli. Parole che fanno venire i brividi a largo del Nazareno. «L’esperienza è finita, per quanto riguarda il Pd non cambia nulla», si affretta a precisare l’ex assessore ai Trasporti, Stefano Esposito, entrato in Giunta nell’ultimo rimpasto per «rinforzare» la squadra su sollecitazione di palazzo Chigi. «Resisti», «Daje», incita la piazza. «Renzi facce vede’ le ricevute», c’è scritto sul cartello di una fan. «La democrazia non si esercita in stanze chiuse, ma nelle piazze, dobbiamo chiedere un confronto a tutti gli eletti», dice ancora Marino ricordando che la prossima settimana si apre il processo di Mafia Capitale e che il Comune sarà parte civile. Marino insomma non arretra di un millimetro. Se il Pd non gli concederà una resa onorevole userà l’assembla capitolina come palcoscenico per l’ultimo atto: il ritiro delle dimissioni. E a quel punto la patata bollente sarà tutta del Pd. A meno che non prenda corpo l’ultima ipotesi di queste ore: azzeramento della giunta subito dopo il ritiro delle dimissioni di Marino. Del resto non è l’unica voce che circola. Il Pd ha infatti dovuto smentire di voler espellere dal partito il sindaco ribelle. Quel che è certo è che tutta la vicenda capitolina ruota intorno al Pd. Comunque vada a finire il braccio di ferro tra partito e primo cittadino il Partito democratico esce dalla vicenda sfiaccato e diviso più che mai. Il tutto a poche settimane dall’inizio del Giubileo che vedrà arrivare a Roma milioni di pellegrini. «L’era Marino è finita», dice Alfio Marchini, che si ricandiderà a sindaco. «I duelli tra Marino e il Pd e tra Alemanno e il suo partito sono il funerale di un sistema al colosso, noi continueremo a concentraci su come migliorare la vita dei romani», aggiunge l’imprenditore. «Il “non vi deluderò” di Marino più che una promessa è una minaccia», rincara Giorgia Meloni, leader di Fratelli d’Italia non escludendo affatto di candidarsi alla guida della città. Quanto ai 5 Stelle i sondaggi li danno oggi vincenti. Resta da chiarire chi sarà il candidato del M5S visto che tanto Alessandro Di Battista che Roberta Lombardi, entrambi molto popolari a Roma, hanno ribadito che resteranno in Parlamento fino a fine legislatura. Per Di Battista anche l’ultima sortita di Marino è solo una sceneggiata per avere un posto dal Pd. La telenovela del Campidoglio non è ancora all’ultimo atto e non è detto che il the end sia il 2 novembre.