Il crollo della condotta fognaria di via Raiale poteva essere evitato se solo l’Anas fosse intervenuta per riparare in modo risolutivo la profonda lesione che si era aperta sul manto stradale dell’asse attrezzato. Crollo che è stato altresì determinato dalle infiltrazioni d’acqua nonché dal gran peso della condotta stessa, la quale si reggeva su una parete la cui capacità di tenuta è risultata inadeguata e mai verificata in relazione all’aumento di carico, specie dopo l’apertura della fessura aperta sull’asfalto dell’asse.
Queste le conclusioni cui è giunto l’ingegner Guido Camata, incaricato dal Tribunale civile di Pescara di redigere la relazione tecnica per l’accertamento dei fatti e delle responsabilità del gravissimo incidente avvenuto il 6 aprile scorso, nella notte tra Pasqua e Pasquetta. Conclusioni che chiamano in causa l’Anas quanto il Comune e che escludono invece l’Aca, dal momento che ogni valutazione dell’esperto è riferita «a interventi conclusi e definiti prima del coinvolgimento dell’Aca nella gestione della condotta fognaria». L’ingegner Camata è partito dal 2001, anno in cui la tubazione fu realizzata e appesa di fianco alla parete sottostante l’asse attrezzato. Aspetti riconducibili a un periodo in cui l’Aca non aveva ancora assunto il ruolo di gestore dell’impianto (all’epoca era sindaco Carlo Pace).
L’ingegner Cerasoli, consulente di parte dell’Aca, ha posto quesiti importanti per fare luce sulla vicenda: prima ha chiesto se fosse rilasciabile la concessione per appoggiare la condotta al muro; poi ha domandato se non andasse verificato che quello stesso muro fosse in grado di sostenere la tubazione con tutta l’acqua. E ancora: «Un puntellamento del muro, dopo la lesione aperta sulla strada, avrebbe potuto evitare il crollo?» ha chiesto il perito dell’Aca.
L’ingegner Camata ha risposto sostenendo che la mera chiusura della corsia aperta non poteva bastare da sola a scongiurare quello che poi è avvenuto, fatto salvo avere un effetto tampone nell’immediato. Dall’analisi è anche emersa la mancata valutazione dello stato di fatto da parte dei progettisti e poi da chi ha eseguito i lavori di riparazione dell’asfalto dell’asse attrezzato, inizialmente limitati e perciò insufficienti a evitare il crollo della parete. «L’apertura della lesione doveva essere interpretata come un segnale d’allarme di quanto avrebbe potuto accadere» ha sostenuto Camata nella relazione. «E invece non si ravvisano interventi di straordinaria manutenzione, fatta salva la chiusura della lesione sull’asfalto».
Era stata proprio l’Aca a sollecitare questo accertamento tecnico preventivo nei confronti dell’Anas e del Comune, all’indomani dell’incidente, in modo da fotografare lo stato dei fatti e definire eventuali responsabilità. Aca che sembra oggi avere fondate ragioni per giustificare la richiesta di risarcimento danni: la società ha dovuto accollarsi i costi della nuova condotta e quelli per il ripristino della vecchia, usata per fronteggiare l’emergenza e che ha richiesto continue riparazioni.