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Pescara, 23/11/2024
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03/11/2015
Il Messaggero
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Corte dei conti: con l’8 per mille Chiesa favorita, buco per il fisco. Oltre un miliardo i fondi arrivati alla Cei, solo 170 milioni allo Stato. L’accusa al governo: meccanismo opaco, discriminante e senza controlli |
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ROMA La macchina dei fondi raccolti dall’8 per mille è ancora nella nebbia più fitta. E questo non è più ammissibile, torna ad accusare la Corte dei Conti. Non solo perchè «favorisce» il beneficiario numero uno, la Chiesa Cattolica, più aggressivo anche nel marketing, ma anche perchè sta diventanto una macchina troppo onerosa per l’Erario, che sfugge peraltro a qualsiasi verifica di natura amministrativa sull’utilizzo dei fondi. GLI INTERVENTI Basti pensare che, secondo i numeri snocciolati dai magistrati contabili, le risorse arrivate alla Chiesa sono salite dai 200 milioni del 1990 a oltre 1 miliardo nel 2014 (1.054.310.702,82 euro). Vale a dire che il grosso della torta arrivata l’anno scorso supera gli 1,2 miliardi totali. Gli spiccioli (170 milioni) rimangono allo Stato, che li utilizza per lo più per ripianare il debito e colpevolmente, accusano i magistrati, da una parte non incentiva le erogazioni e d’altra sonnecchia, senza intervenire nella revisione del meccanismo. Il resto va alle altre confessioni, di fatto«discriminate», con in testa la Chiesa Evangelica Valdese con quasi 41 milioni. Parole che pesano come pietre. Se si seguisse il modello spagnolo, conclude la Corte dei conti, la musica sarebbe diversa. Certo, qualche miglioramento c’è stato, se si parla di trasparenza, ammettono i giudici. Fino a pochi mesi fa il governo non pubblicava nemmeno le attribuzioni alle singole confessioni, né tantomeno la destinazione dei fondi. Ora il pressing dei magistrati contabili ha portato a qualche miglioramento, seppure timido: da aprile 2015 sul sito del ministero è pubblicata almeno la ripartizione dei fondi. Ma resta ancora nella nebbia il dettaglio dell’utilizzo. Così come rimane il nodo di un eccesso di spot sponsorizzati dalla Chiesa che, ricorda la relazione «rischia di distogliere fondi da finalità proprie». Le cifre in gioco sono enormi e la crescita del 400% incassata dal Cei «fa in parte venir meno le ragioni che giustificano il cospicuo intervento finanziario dello Stato disegnato dall’8 per mille» nel 1990 (allora sostituì risorse che pervenivano dallo Stato alla Chiesa nella misura di circa 200 milioni). Il punto, dunque, è che mentre lo Stato si trova costretto a causa della crisi a «ridurre le spese sociali», la quota di Irpef prelevata da 42 milioni di contribuenti «a favore delle confessioni continua ad incrementarsi». La relazione si spinge ad affermare che «il cospicuo intervento finanziario dello Stato disegnato dall'8 per mille ha contribuito ad un rafforzamento economico senza precedenti della Chiesa Italiana». Ad aggravare la situazione è l’assenza di controlli, a partire da quelli sui fonti destinati al Cei (388.251.190 utilizzati per il sostentamento del clero, i 433.321.320,67 per le esigenze di culto e 245.000.000 per gli interventi caritativi). I bilanci dovrebbero passare dal ministero dell'Interno al Tesoro per finire sotto la lente di apposite sezioni. Ma secondo i giudici,«i dati, cosa sconosciuta a questa direzione, non sono mai arrivati agli uffici». Ora sembra che nel 2016 quantomeno il governo attiverà una campagna pubblicitaria. Si vedrà.
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