ROMA Abbattere la povertà, riducendola almeno del 50 per cento, fra chi ha più di 55 anni di età e garantire maggiore flessibilità in uscita per le pensioni. Reperire le risorse intervenendo su 250 mila pensioni d’oro e 4 mila vitalizi. Sono questi i due assi portanti delle proposte contenute nel rapporto Inps sulle pensioni intitolato «Non per cassa ma per equità». La proposta normativa, messa a punto dal presidente dell’Inps Tito Boeri e consegnata a giugno al governo, consiste nell’istituire un «reddito minimo garantito» pari a 500 euro al mese per una famiglia con almeno un componente ultracinquantacinquenne. È questa la fascia di età in cui la povertà è aumentata proporzionalmente di più rispetto alle altre classi di età durante la recessione e la crisi del debito nell’area euro. Le persone povere disoccupate con più di 55 anni sono infatti più che triplicate nell’arco di 6 anni. Il trasferimento, che prende il nome di Sostegno di Inclusione Attiva per gli over 55, prende come riferimento la famiglia, intesa come nucleo che condivide la stessa abitazione. La famiglia di riferimento è il nucleo allargato così come definito ai fini Isee. Questo significa che non solo l’ultracinquantacinquenne, ma anche eventuali figli disoccupati beneficiano del trattamento. Chi ha una casa di proprietà viene penalizzato rispetto a chi è in affitto. Il trattamento è subordinato a un patto finalizzato al «reinserimento lavorativo». La seconda parte della proposta di legge armonizza i trattamenti in essere prevedendo per quelli più elevati, sopra i 5000 euro, un contributo «equo» ottenuto attraverso l’immediato ricalcolo della pensione attraverso il sistema contributivo. Il ricalcolo sarebbe più graduale tra i 3500 e i 5000 euro. Ulteriori risparmi verrebbero dal taglio dei vitalizi e delle pensioni sindacali. L’articolo 16 armonizza le pensioni dei sindacalisti con distacco (o aspettativa) dal settore pubblico al trattamento riservato agli altri lavoratori. Nello specifico sposta la contribuzione aggiuntiva versata dall’organizzazione sindacale dalla cosiddetta quota A (ultimo stipendio versato) alla quaota B (gli ultimio 10 anni di retribuzione). Questo significa che i dirigenti sindacali non potranno più farsi versare contributi dall’organizzazione a condizioni molto più vantaggiose di quelle riservate alla valorizzazione a fini pensionistici dei contributi versati dagli altri lavoratori. La proposta Boeri avrà vita facile? Difficile immaginarlo perché il dossier del presidente dell’Inps è stato tolto dal tavolo del governo. Non solo perché «troppo costoso» ma anche perché «politicamente e giuridicamente troppo complicato da realizzare». Fonti della maggioranza assicurano che l’unico intervento che nel 2016 sarà fatto al sistema pensionistico sarà quello di creare meccanismi «poco onerosi per lo Stato, per incentivare la flessibilità in uscita». Il ministero del Lavoro fa sapere che la proposta è Boeri è stata ritenuta un «contributo utile al dibattito sulle pensioni» ma poi aggiunge che si è deciso di rinviare perché quel piano, oltre a misure «utili» come la flessibilità in uscita , ne contiene altre «che mettono le mani nel portafoglio a milioni di pensionati, con costi sociali non indifferenti e non equi». E ancora: «Per non far pagare questi costi ai pensionati servono risorse che, al momento, non ci sono». Contrario a qualsiasi ipotesi di intervento sulle pensioni è soprattutto Matteo Renzi. «La linea della legge di Stabilità è fiducia, fiducia, fiducia. E, dunque, non si tagliano le pensioni» dice il premier nell’ultimo libro di Bruno Vespa. Riserve sul piano Boeri arrivano anche dal Nuovo Centrodestra. «Occorre distinguere la demagogia dalle cose concrete. Quindi, ci sarà da studiare e vedere se l’intero sistema proposto regge» taglia corto Angelino Alfano.