ROMA «Con questa ritrovata unità vinceremo le prossime elezioni. Con Matteo, con Giorgia e con Silvio non ce ne sarà più per nessuno». Berlusconi lo grida dal palco di Bologna, ma trova una piazza Maggiore se non ostile quantomeno insofferente e fredda. La prima acclamazione («Silvio, Silvio») è una fiammata iniziale. Dopo, man mano che Berlusconi pronuncia il discorso contro Renzi, i giudici e Beppe Grillo («Certi suoi discorsi simili a quelli di Hitler»), la folla si divide in tifoserie. A sinistra del palco c’è lo zoccolo duro che ogni tanto si fa sentire per sostenere il Cavaliere e i suoi atti d’accusa. Ma è una piccola folla che presto rimane in minoranza. Sul lato destro del palco monta invece la contestazione dei “giovani padani”. Molti fischiano Berlusconi, soprattutto quando prolunga il suo discorso, e invocano l’intervento di Salvini. Altri arrivano a insultarlo apostrofandolo come “leccaculo” quando loda il leader leghista e Giorgia Meloni perché hanno aumentato i loro consensi. L’impressione è che il popolo leghista non voglia avere più nulla a che fare con Berlusconi e trasforma l’appuntamento bolognese in una sorta di investitura per il leader del Carroccio, che ha concluso la sua personale performance cantando “Va pensiero” con la mano al cuore. Un’investitura che è stata scandita dagli scontri di piazza, con la polizia che è stata costretta a più riprese a separare gli antagonisti, che in nottata hanno danneggiato la ferrovia, dai supporter della Lega. Il bilancio è di due attivisti fermati e di un agente ferito al petto da una bomba carta. Decisi a bloccare l’onda “verde” di Salvini, centinaia di antagonisti hanno marciato in diversi cortei, che a tratti si sono uniti per poi dividersi in rivoli di protesta, e che hanno avuto il loro epilogo in tafferugli anche duri: gli “incappucciati” hanno lanciato bombe carta contro la polizia. Petardi, fumogeni e tanti striscioni dei centri sociali. In uno di questi si poteva leggere: «Salvini alle zecche stai attento, a Bologna ancora fischia il vento». Ma ieri a dominare la scena non sono stati solo gli scontri di piazza. Meloni, Berlusconi e Salvini sono stati infatti i protagonisti di una giornata che di fatto ha disegnato un centrodestra a trazione leghista. «La manifestazione di Bologna non è un ritorno al passato, al ’94, alle vecchie formule, alle marmellate: qua comincia qualcosa di nuovo che è guidato dalla Lega ma che è aperto a tutti gli italiani...» dice Salvini prima di salire sul palco, dove attacca Renzi e Alfano («È un cretino...») e poi assicura che la leadership del centrodestra è «l’ultima» delle sue preoccupazioni. E se Salvini incentra il suo discorso sui temi che stanno più a cuore alla Lega, toccando in particolare la sicurezza, la famiglia e il lavoro e promettendo di «sgomberare» i centri sociali, Berlusconi rispolvera il repertorio degli ultimi 20 anni e non tiene in minimo conto le protesta degli azzurri “moderati” che vorrebbero sottrarsi all’abbraccio mortale di Salvini. E invece il Cavaliere lo coccola, ammette il “sorpasso” («lui è al 26,7%, la Meloni al 16 e io miracolosamente dopo tre anni di assenza sono ancora al 25%») e punta l’artiglieria contro Renzi, che viene evocato come «questo signore» e in breve diventa un «duce che vuole instaurare un vero e proprio regime». E Grillo? «Sarebbe una tragedia» dice Berlusconi «consegnare l’Italia ad un signore nei cui discorsi ho individuato molti passaggi identici a quelli di Hitler nel ’32 e nel ’33». La prima a prendere la parola è Giorgia Meloni, che dice basta al duo comico Renzi-Alfano. «Ci fossero stati Stanlio e Ollio le cose sarebbero andate meglio...» dice la leader di Fratelli d’Italia per la quale da Bologna «nasce un fronte anti-Renzi per mandare a casa un governo di servi». Salvini se la prende soprattutto con Alfano. E nel giro di poco arriva la replica del ministro dell’Interno: «Salvini non è un piccolo uomo o un ominicchio, ma un quaquaraquà incolto e ignorante a cui nessuno affiderebbe il ministero delle zanzare».