ROMA Oltre la destra e la sinistra. Oltre anche il centro. Il traguardo renziano del partito nazionale (o comunque lo si voglia chiamare) è vicino stando al sondaggio al quale significativamente “l’Unità”, quotidiano del Pd di Renzi, dedicava ieri la seconda e la terza pagina: la maggioranza degli italiani, per la precisione il 55 per cento, considera le vecchie categorie di destra, sinistra, centrodestra, centrosinistra e centro ormai «superate». Solo il 30 per cento è ancora legato al passato, alla tradizione, alla storia, mentre il 15 «non sa». Ovviamente le percentuali cambiano a mano a mano che si va dalle estreme verso il centro: a destra il 45 per cento sente il peso degli steccati (ma il 46 no) e a sinistra il 43 per cento (il 47 è già oltre). Sorpresa al centro: appena il 27 per cento crede nella geopolitica dei partiti di una volta, mentre il 68 ha messo in guardaroba le etichette.
«Stiamo parlando di qualcosa che è in movimento», precisa il direttore scientifico di Swg, Enzo Risso, responsabile della ricerca. «Ci sono persone che continuano a votare per le vecchie collocazioni, al massimo il 20-25 per cento degli italiani. Poi c’è il restante 70-75 che cerca cose nuove, nuove idealità sulla base del comune sentire». Non più delle appartenenze. Si vota 5 Stelle se prevale la rabbia e la voglia di pulizia. Si vota il Pd di Renzi se si vuole cambiare l’Italia e renderla più forte e dinamica. Si vota la Lega di Salvini se si privilegia la sicurezza. «I partiti non sono più le strutture organizzate e ideologiche del ‘900 ma, per dirla in inglese, ”community of sentiment”, comunità di sentimenti». Renzi sta costruendo una nuova identità? «Per il momento sì. E non è neppure un’identità di centro, perché il centro come concetto è superato, anzi è la vera vittima del passaggio alle comunità di sentire».
IL NODO DEL LEADER
La vede un po’ diversamente Alessandra Ghisleri, direttore di Euromedia Research. «A parità di capacità e di competenza, è ancora l’appartenenza a una tradizione di partito a fare la differenza, soprattutto nelle città». La figura del leader è sempre più importante, potenzialmente prevale anche sulle vecchie categorie e sulle collocazioni ideologiche. Ma le strutture, i partiti che stanno dietro alle persone, per quanto intesi come «comunità di sentire», continuano spesso a essere decisivi. Inoltre, osserva la Ghisleri che nella maggioranza degli italiani pronta a andare «oltre le categorie» (il 55 per cento, abbiamo visto, per Swg) va probabilmente inserito il grosso di quelli che appartengono al partito dell’astensione, che si attesta attorno al 40 per cento. Chi non vota, è tendenzialmente meno radicato nella destra o nella sinistra o nel centro. Risso (Swg) sottolinea a sua volta che è «caduta l’adesione fondata su grandi narrazioni e costruita lungo assi ideologico-programmatici: comunisti, democristiani, eccetera. Anche l’auto-collocazione geopolitica ha perso appeal e consistenza».
Per il politologo Piero Ignazi, citato da “l’Unità”, il superamento dipende in primo luogo dall’irruzione di Beppe Grillo che s’è posto fuori dagli schemi classici, e del premier Renzi che rifiuta i concetti di destra e sinistra. Infine “l’Unità” interpella Andrea Romano per il quale, archiviato il conflitto tra berlusconismo e anti-berlusconismo, il Pd «deve rivolgersi a tutti». Perché l’elettorato non è semplicemente post-ideologico: è «mobile».