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Pescara, 23/11/2024
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18/11/2015
Il Centro
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Autista arrestato per marijuana. I giudici: licenziamento giusto. L’Arpa lo aveva mandato via dopo il patteggiamento, ma il giudice del lavoro lo aveva reintegrato. I magistrati di secondo grado accolgono il ricorso dell’azienda, ora si va in Cassazione |
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TERAMO Due pronunciamenti opposti, due sentenze alle estremità del codice e un altro caso destinato a finire in Cassazione. E’ quello dell’incensurato teramano autista di bus per cui il giudice del lavoro aveva annullato il licenziamento disposto dall’Arpa in seguito all’arresto e al patteggiamento per 15 piantine di marijuana. Un anno dopo questa sentenza è stata riformata dai giudici d’appello che, nell’accogliere il ricorso dell’azienda, hanno sentenziato che quel licenziamento è legittimo. Il perchè della decisione nelle motivazioni: intanto il legale dell’uomo, l’avvocato Fabrizio Silvani, preannuncia ricorso alla Suprema Corte. Il provvedimento di licenziamento era stato adottato dall’azienda, così si legge nella sentenza di primo grado, «dopo la compromissione del vincolo fiduciario che impediva la prosecuzione del rapporto di lavoro, in relazione agli aspetti concreti del comportamento considerato, afferenti alla natura e qualità dello specifico rapporto, stanti la delicatezza delle mansioni affidate, i profili di grave pericolo per l’incolumità dei passeggeri, l’esigenza di continua attenzione da prestarsi al dipendente nell’esercizio delle mansioni di competenza, la responsabilità aggravata dell’azienda per eventuali accadimenti negativi conseguenti a tale situazione e l’immanente lesività dell’immagine imprenditoriale della società e il danno in concreto ad essa cagionato dal lavoratore». Ma il giudice del lavoro del tribunale di Teramo Giuseppe Marcheggiani, nel dichiarare illegittimo il licenziamento, aveva scritto: «Lo stigma sociale conseguente alla condanna penale è comunque ridimensionato nei confronti di quanti siano stati trovati colpevoli di fatti illeciti concernenti sostanza stupefacenti non comprese tra le cosiddette droghe pesanti, ovviamente non ricorrendo ipotesi di particolare gravità del fatto. A ciò deve aggiungersi che, nel caso concreto, è stata riconosciuta in sede penale la sussistenza dell’ipotesi di lieve entità, in considerazione del modesto numero di piantine di marijuana rinvenute. Sul piano della valutazione oggettiva di gravità non è poi priva di rilievo la circostanza dell’aver il gip, su richiesta del pm, autorizzato il ricorrente ad assentarsi dal luogo degli arresti domiciliari subito dopo l’applicazione della misura cautelare, al fine di consentirgli la prosecuzione dell’attività lavorativa di conducente di autobus di linea. Il profilo temporale dei fatti rispetto a quello contestato come mancanza tale da giustificare il licenziamento in tronco consente, in ogni caso, di ritenere che l’ipotesi di uso personale delle sostanze stupefacenti avrebbe dovuto condurre l’azienda ad altri specifici controlli la cui mancata effettuazione denota, in definitiva, l’esclusione da parte della stessa di motivi di allarme collegati alla protrazione dell’esercizio delle mansioni di guida affidate al dipendente». E non solo. La sentenza di primo grado aveva tenuto conto dell’allora pronunciamento della Corte costituzionale e della Cassazione sulla bocciatura della legge Giovanardi-Fini che equiparava droghe leggere e pesanti. Aveva scritto Marcheggiani: «Deve ritenersi ridimensionata la portata oggettiva del fatto ascrittogli nel procedimento penale, siccome riferito alla detenzione di sostanza stupefacente di tipo marijuana, alla luce della pronuncia della Corte costituzionale».
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