ROMA Dopo le Poste tocca alle Ferrovie. Il prossimo anno la società dei treni sarà quotata in Borsa. Sul mercato andrà il 40% del capitale, che sarà collocato sul listino di Piazza Affari con un’offerta pubblica di vendita destinata ai risparmiatori, ad investitori istituzionali ed anche ai dipendenti, ai quali sarà riservata una quota. Ieri il consiglio dei ministri ha approvato in via preliminare il Dpcm, il decreto di privatizzazione. Il provvedimento licenziato da Palazzo Chigi, in realtà, è generico. Per ora si limita a tracciare le linee generali dell’operazione di privatizzazione delle Ferrovie. Molti nodi, del resto, devono ancora essere sciolti. A cominciare da quello della rete. Il ministro delle infrastrutture, Graziano Delrio, ha spiegato con chiarezza qual è la volontà politica del governo: la rete deve rimanere pubblica. Bisognerà garantire, ha aggiunto il ministro, la «indipendenza del gestore», e anche una «indipendenza societaria rafforzata». In realtà, ormai da mesi, all’interno del governo si confrontano due scuole di pensiero su come questa indipendenza della rete vada garantita.
I PASSAGGI
Per capire i punti di vista, però, è prima necessario comprendere che cosa è esattamente l’infrastruttura ferroviaria che oggi è tutta concentrata all’interno di una società, Rfi, Rete ferroviaria italiana. È innanzitutto un enorme patrimonio, fatto di binari, tunnel, stazioni ferroviarie. Un insieme di beni che vale circa 35 miliardi di euro. Ma la rete è anche un insieme di investimenti regolati da contratti di programma con il ministero delle infrastrutture per sviluppare nuovi collegamenti. E, infine, svolge anche un’attività strategica: l’assegnazione delle tratte a chi ne fa richiesta.
Nell’idea di Delrio c’è un solo modo per essere certi che la rete resti pubblica e sia «neutrale» nei confronti di tutte le società che usano i suoi binari, da Trenitalia ad Ntv: separare proprietariamente Rfi dalle Ferrovie. In pratica il modello Terna, la società dei cavi elettrici passata dall’Enel alla Cassa Depositi e Prestiti. Il ministero dell’Economia, con il suo advisor di Merril Lynch, invece, ha lavorato ad un progetto diverso. Il problema da affrontare ai fini della privatizzazione delle Ferrovie, dal punto di vista di Via XX settembre, sarebbe quello di ridurre a zero il valore della rete. Il motivo è abbastanza semplice. I binari e le stazioni, pur valendo 35 miliardi, rendono poco.
Gli utili prodotti non sono sufficienti a remunerare il capitale che gli azionisti dovrebbero investire per comprarsi Ferrovie con tutta la sua infrastruttura. Come se ne esce? L’ipotesi è quella di varare una norma legislativa che svaluti l’infrastruttura ferroviaria, abbattendo il capitale delle Fs a «soli» 12-13 miliardi di euro. Rfi, la società che possiede i binari, rimarrebbe sotto l’ombrello della capogruppo, ma verrebbe dotata di una governance autonoma e delle regole in grado di garantire una parità di accesso a tutte le società che vogliono usare la rete, sia che si tratti della «consorella» Trenitalia, sia che si tratti dei concorrenti di Ntv. La norma di legge necessaria per portare da 35 miliardi a zero il valore dell’infrastruttura ferroviaria, dovrebbe dire anche un’altra cosa. Che la perdita “monstre” che questa operazione genererebbe nei conti delle Ferrovie possa non emergere nel bilancio. Comunque sia, su queste basi, la cessione delle Ferrovie dovrebbe comportare un incasso per il Tesoro tra i 4 e i 5 miliardi di euro.
Quale delle due strade per la privatizzazione emergerà, se quella promossa da Delrio o quella portata avanti da Pier Carlo Padoan, lo si saprà solo nei prossimi mesi. Prima di passare alle tecnicalità dell’operazione, c’è un altro importante nodo che il governo dovrà sciogliere a giorni, quello del rinnovo dei vertici (si veda anche altro articolo in pagina). A gestire l’operazione di privatizzazione, infatti, non saranno l’attuale amministratore delegato Michele Elia e il presidente Marcello Messori, ma i nuovi manager che verranno indicati dal Tesoro e da Palazzo Chigi.
LE REAZIONI
L’operazione ha sollevato tuttavia critiche di parte della politica (Prc, Sinistra Italiana e M5S) e dei sindacati. La Uilt ha parlato di mera operazione di cassa. La Fit Cisl, per bocca del segretario Giovanni Lucisano, ha chiesto chiarimenti altrimenti minaccia la mobilitazione. «È una stupidaggine gigantesca che farà solo danni al Paese, ai cittadini italiani e ai lavoratori delle Ferrovie», ha sottolineato Lucisano. La Filt Cgil parla di rischio svendita e di tenuta per l'intero gruppo. E anche il capogruppo del Pd in Commissione lavori pubblici del Senato, Marco Filippi ha avvertito che prima di procedere con la vendita della società ci sono ancora molti nodi da sciogliere.