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Pescara, 23/11/2024
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Data: 25/11/2015
Testata giornalistica: Il Centro
Tutti assolti - Venturoni, Di Zio e Di Stefano scagionati dallo scandalo rifiuti. La Procura li accusava di tangenti e corruzione, per il giudice “il fatto non sussiste” o “non c’è reato”. L’ex assessore e medico in lacrime: «Incubo finito, guidare la Sanità mi ha portato proprio sfortuna»

PESCARA Tutti assolti. «È finito un incubo e solo chi ha provato una cosa del genere può capirlo», dice l’ex assessore regionale alla Sanità di Forza Italia Lanfranco Venturoni con gli occhi che si riempiono di lacrime trattenute a fatica. Da ieri non è più un imputato: Venturoni, 64 anni di Teramo, è stato assolto e con lui anche gli imprenditori dei rifiuti della Deco di Spoltore, i fratelli Rodolfo (73) ed Ettore Ferdinando Di Zio (70), il deputato chietino di Forza Italia Fabrizio Di Stefano (50) e l’ex amministratore delegato della Team di Teramo Vittorio Cardarella (79). Nessun condannato per un presunto scandalo scoppiato 5 anni fa. Venturoni si accende un sigaro, «il migliore degli ultimi anni», e continua: «Per fortuna che è accaduto a uno come me, uno forte, se fosse successo a un altro, con un temperamento diverso, chissà di che cosa staremmo a parlare. Io mi sono sempre sentito innocente perché non ho fatto niente e, guardando i fatti, quelli reali, si capiva che non ci fosse davvero nulla di concreto. Però», dice, «il problema è che su questa vicenda si è creata tutta una storia». E cioè? «Non so fino a che punto la finalità vera fosse quella di indagare sulla Team: diciamo che fare l’assessore alla Sanità porta sempre scalogna e che la politica è una brutta bestia, lasciamola stare. Comunque, di questo ne riparleremo: ogni cosa a suo tempo». Il sentore è che Venturoni voglia chiedere i danni per un’ingiusta detenzione durata quasi un mese, ma per ora, è solo un’ipotesi lontana. Quell’indagine lunga quasi due anni – partita nel 2008 dalla municipalizzata dei rifiuti Ecoemme di Montesilvano e poi arrivata al progetto di un termovalorizzatore a Teramo – avrebbe dovuto chiamarsi “Oro Abruzzo” con il rischio di azzerare i vertici politici e tecnici della Regione un’altra volta, la seconda a meno di due anni dalla caduta di Del Turco: sui primi documenti della squadra mobile di Pescara, i possibili indagati erano una ventina con riferimenti all’allora presidente Gianni Chiodi e all’ex capo del servizio Rifiuti Franco Gerardini (poi mai iscritti). «Una indegna e indecorosa pluralità di condotte illecite», diceva la Mobile, per assicurare il presunto «monopolio» dei rifiuti alla Deco. Poi, i primi due arresti del 22 settembre 2010 con l’accusa di tangenti; un freno improvviso testimoniato dal cambio repentino di nome dell’operazione in un più personalistico “Re Mida”; e ancora altri 5 anni trascorsi secondo i ritmi cadenzati della giustizia attraverso 30 udienze. Ci ha messo meno di un minuto il giudice Angelo Zaccagnini per riassumere la storia. Venturoni prosegue: «È un’assoluzione in cui speravo e, più che politicamente, questa sentenza pesa in termini personali e morali per il buon nome della mia famiglia. E la sentenza lo chiarirà definitivamente con il dispositivo». Tra 90 giorni saranno rese note le motivazioni. Un ventaglio di capi di imputazione falcidiato dal tribunale con le formule del «fatto non sussiste» e del «fatto non costituisce reato»: a vario titolo, i reati contestati erano corruzione, istigazione alla corruzione, abuso d’ufficio, peculato, turbativa d’asta e millantato credito. I pm Gennaro Varone e Anna Rita Mantini avevano chiesto una pena di 5 anni di reclusione a testa per Venturoni e Di Zio, un anno e 6 mesi per Di Stefano e l’assoluzione per Ettore Ferdinando Di Zio e Cardarella. La sentenza ha sorpreso la Procura anche perché il filone teramano del procedimento aveva portato, 10 mesi fa, a due condanne per abuso d’ufficio e turbata libertà degli incanti e, nelle motivazioni della sentenza, torna il sospetto del malaffare nei rifiuti. Prima in silenzio il pm Varone e poi le braccia che si allargano; un sorriso elegante e di circostanza per la pm Mantini. E il ricorso in appello non è scontato: i fatti si riferiscono al 2008 e, forse, può arrivare prima la prescrizione che il secondo grado. Messa così, l’ultima grande indagine sulla pubblica amministrazione sembra destinata a un binario morto con la vittoria di politici e imprenditori sui magistrati.

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