L’AQUILA Ci sarà un processo per chiarire le responsabilità del sindaco di Avezzano Gianni Di Pangrazio, cui la Procura dell’Aquila contesta un uso spregiudicato delle auto blu della Provincia di cui è dirigente. Di Pangrazio è stato rinviato a giudizio per il 21 aprile del prossimo anno dal gup del tribunale dell’Aquila per peculato. Sotto processo anche altre quattro persone. Le contestazioni fanno riferimento a poco più di un anno fa, quando la polizia giudiziaria mise i sigilli a tre auto di proprietà dell’ente Provincia: furono indagati anche tre autisti: Maria Pia Zazzara di Pescina, Mario Scimia dell’Aquila, la dirigente Paola Contestabile di Celano con l’accusa di peculato e Anna Maceroni, di Avezzano, dipendente pubblica, tutti finiti a giudizio ma comunque con ruoli minoritari. Il suo ex autista, Ercole Bianchini, ha chiesto di patteggiare due anni durante la scorsa udienza e ieri la richiesta è stata accolta. Una sanzione che lo pone al riparo da qualsiasi ipotesi di licenziamento. Gli inquirenti sostengono come Di Pangrazio abbia utilizzato l’auto della Provincia per fini personali, e come, addirittura, gli stessi autisti ne avessero totale uso, fino a riuscire a riportarsi l’auto nella propria abitazione, compresi i week-end. In particolare, vengono contestati 7 viaggi, compreso uno a Ischia. Il tutto condito dalle spese che sarebbero state caricate alla Provincia. Per cui ci sono le accuse di truffa, peculato, falso e abuso di ufficio. Alcune accuse, secondo gli inquirenti, poggiano sul sospetto che quando la delibera 18/2011 venne firmata, Di Pangrazio sapesse che il giorno successivo sarebbe stato nominato direttore dell’istituendo Dipartimento speciale. Meccanismo che avrebbe portato a Di Pangrazio «un ingiusto profitto pari a 18mila euro annui quale retribuzione accessoria», ottomila in più rispetto ai capi degli altri dipartimenti. Secondo la Procura, avrebbe «attestato in modo falso la regolarità dal punto di vista tecnico della riorganizzazione», non astenendosi nella votazione della delibera che lo avrebbe favorito. Questa la replica di Di Pangrazio: «Come cittadino e uomo delle istituzioni», dice, «ho svolto e svolgo la mia attività con grande rispetto delle norme che regolano il comportamento democratico nel nostro Paese. Ho piena fiducia nelle garanzie processuali, al fine di chiarire di aver agito nel massimo rispetto della legalità. Sono sereno perché ho fiducia nella magistratura e perché credo fermamente nella giustizia del nostro Paese». «La mia serenità», prosegue, «è alimentata dalla consapevolezza che ogni mio pensiero, progetto, azione sono ispirati al bene della comunità che amministro e rappresento. Con questo spirito ho accolto la decisione del gup degli addebiti a me ascritti. Allorché la magistratura decide che sono necessari ulteriori approfondimenti e una lettura più esaustiva della documentazione alla base dell’azione giudiziaria e se il soggetto sa di aver agito nella legalità, come nel mio caso, la decisione va interpretata come un atto teso a chiarire la situazione, senza lasciare ombre o zone di indeterminatezza. È questo il percorso che garantisce chi responsabilmente svolge attività istituzionale con lealtà verso i cittadini e rispetto dei princìpi dell’ordinamento e in questo percorso di legalità e valori mi riconosco come cittadino e come rappresentante dell’Istituzione». Gli avvocati: Antonio Milo, Giuliano Lazzari, Angelisa Durastante, Piergiorgio Merli, Stefano Massacesi, Attilio Cecchini, Claudio Verini.