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Data: 27/11/2015
Testata giornalistica: Il Messaggero
Privatizzazione, resta da sciogliere il nodo della rete

ROMA Dal punto di vista del governo, il secondo tassello del complesso mosaico della privatizzazione delle Ferrovie, è stato posto. Dopo l’approvazione lunedì scorso del decreto per portare entro il 2016 il 40% della società in Borsa, anche il ricambio del consiglio di amministrazione è di fatto archiviato. Ma la strada verso Piazza Affari è ancora lastricata di ostacoli. Il dualismo tra l’amministratore delegato delle Ferrovie, Michele Elia, e il presidente Marcello Messori, in realtà ricalca una diversità di visione che convive anche all’interno del governo tra il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan, e quello delle infrastrutture Graziano Delrio. Il pomo della discordia è il destino della rete ferroviaria. Delrio, per esempio, è convinto che vada mantenuta completamente pubblica. La strada migliore, secondo l’ex sottosegretario alla presidenza del Consiglio, sarebbe quella di trasferire la proprietà di Rfi, la società che possiede i binari e le stazioni, ad un altro soggetto pubblico. Una delle possibilità sarebbe quella di passarla direttamente sotto l’ombrello del Tesoro, lasciando alle Ferrovie però, una serie di attività di gestione. Si tratta di un modello di separazione parziale, sul modello della francese Sncf. La linea del Tesoro è diversa. Anche a via XX settembre c’è la convinzione che sulla rete debba rimanere il controllo pubblico. Ma se si vuole accelerare la privatizzazione, questo obiettivo può essere raggiunto in un altro modo. La proprietà della rete può rimanere delle Ferrovie. Ma tra la capogruppo e Rfi, verrebbero alzate una serie di muraglie cinesi. L’assegnazione delle tratte, ed altre funzioni sensibili, come quelle di regolazione, potrebbero passare ad un’Authority. In questo modo le Fs rimarrebbero una società unica, in grado di competere con altri colossi integrati come nel caso delle ferrovie tedesche.
L’OSTACOLO
In entrambi i casi c’è un altro nodo importante da sciogliere: quello del valore dei binari. A «libro», come si dice in gergo, sono iscritti per 35 miliardi di euro. Un valore troppo elevato, che fa sì che il capitale del gruppo sia di 41 miliardi. Troppo a fronte degli utili prodotti. Un ostacolo a qualsiasi progetto di privatizzazione. Qualunque sia il modello che verrà scelto, il valore della rete nel bilancio delle Ferrovie va azzerato. Per farlo, molto probabilmente, occorrerà una norma di legge, che tra le altre cose dovrà anche sterilizzare l’impatto negativo della svalutazione-monstre sui conti delle Ferrovie. Il capitale, prima della privatizzazione, insomma, dovrà essere abbattuto a “soli” 10-12 miliardi di euro. Solo in questo modo l’operazione sarà resa possibile. Si tratta di questioni che saranno affrontate nei prossimi mesi dal prossimo consiglio dei amministrazione che potrebbe vedere al fianco dell’amministratore delegato in pectore, Renato Mazzoncini, la presenza diretta di dirigenti del Tesoro.
L’ACQUISIZIONE
Intanto Rfi ha acquistato la società Bari Fonderie Meridionali (Bfm), storica fabbrica specializzata nella produzione di componenti per infrastrutture ferroviarie, con un investimento complessivo di circa 6,5 milioni di euro. Si tratta della prima acquisizione di un’azienda da parte di Rfi. La decisione è stata presa per internalizzare la produzione di componenti ferroviari considerato strategici e garantire continuità occupazionale a circa 100 lavoratori.

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