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Data: 02/12/2015
Testata giornalistica: Il Messaggero
«Art 18 anche per gli statali» Madia: «No, le tutele restano». Secca replica del governo alla sentenza della Cassazione che limita la protezione. Torna il dibattito sulla platea del Jobs Act. Ma per il ministro della Pa nulla cambierà. Il giuslavorista Tiraboschi«È giusto avere le stesse regole del privato, basta con i privilegi»

ROMA L’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, nella forma modificata dalla riforma Fornero del 2012 che prevede meno tutele in caso di licenziamento, si applica anche alla pubblica amministrazione. Lo dice una sentenza della Corte di Cassazione, riaprendo di fatto il dibattito sulla validità per i dipendenti pubblici delle norme contenute nel Jobs Act che hanno cambiato ancora l’articolo 18 ed introdotto il contratto a tutele crescenti.
IL PARADOSSO Paradossalmente, la sentenza 24157 del 2015 dà torto al datore di lavoro, confermando l’illegittimità del licenziamento stabilita prima dal tribunale di Trapani e poi dalla Corte d’Appello di Palermo. Ma nel farlo, argomenta che è «innegabile» l’applicazione dell’articolo 18 così come modificato al caso in questione; salvo poi dichiarare che il particolare motivo per cui il licenziamento è nullo impone il reintegro invece del risarcimento, ovvero della sanzione di cui la riforma Fornero puntava ad allargare l’utilizzo. La vicenda riguarda un dirigente del Consorzio Area sviluppo industriale di Agrigento che nel 2012 era stato oggetto di licenziamento disciplinare. Licenziamento dichiarato poi nullo perché la relativa pratica era stata avviato, istruita e conclusa da un solo componente dell’ufficio per i procedimenti disciplinari, che invece dovrebbe avere invece una composizione collegiale con tre membri. Questa circostanza basta ad annullare il provvedimento, come confermato anche nella sentenza della Cassazione: la Corte però si è pronunciata anche su un altro motivo di ricorso, quello relativo appunto all’applicabilità o meno dell’articolo 18 ai dipendenti pubblici. E la conclusione è che la norma dello Statuto dei lavoratori si applica, così come modificata nel 2012 «anche a prescindere iniziative normative di armonizzazione previste dalla legge Fornero». Proprio la legge del 2012 fissava però - in caso di licenziamenti nullo - la sanzione del reintegro nell’eventualità di «contrarietà a norme imperative», nel caso specifico quelle che fissano le modalità, non rispettate, della procedura. Detto questo, i giudici escludono che sia necessario portare il caso alla Corte costituzionale.
Ora resta da capire quanto il principio stabilito dalla Cassazione possa toccare il quadro legislativo disegnato all’inizio di quest’anno dal Jobs Act. Sul punto è intervenuta ieri Marianna Madia, ministro della Pubblica amministrazione. A suo giudizio «per il pubblico impiego l’articolo 18 non vale, perché c'è una differenza sostanziale che è il tipo di datore di lavoro». Il ragionamento di Madia è che «il datore di lavoro privato ragiona con sue risorse, il datore di lavoro pubblico ragiona con risorse della collettività». Il ministro ha aggiunto che anche che «la sentenza letta a fondo e con attenzione dice che di fatto quel lavoratore va reintegrato perché oggi ci sono delle norme che dicono che per i procedimenti disciplinari è così». Il nodo è proprio il coordinamento tra le norme che riguardano la generalità dei lavoratori e quelle specifiche relative al pubblico impiego. Anche la riforma Madia del pubblico impiego ha in programma di specificare e chiarire questo aspetto. Ed eventuali future sentenze potrebbero applicare il principio stabilito dalla Cassazione a casi diversi, arrivando a magari a conclusioni differenti.
I RINNOVI CONTRATTUALI Il ministro ha affrontato altri temi caldi in materia di pubblico impiego, a partire dai rinnovi contrattuali. «Dopo tanti anni abbiamo stanziato con la legge di stabilità delle risorse per riaprire una stagione contrattuale per il pubblico impiego - ha detto replicando alle critiche sui sindacati per l’esiguità della cifra disponibile - credo che questo debba essere un segnale apprezzato». Infine una battuta sulla «retorica dei fannulloni» che secondo Madia «non ha aiutato, non ha fatto bene, ha rappresentato una mondo della pubblica amministrazione che non esiste, escludendo una parte di lavoratori che lavorano con impegno e dedizione».


«È giusto avere le stesse regole del privato, basta con i privilegi»

ROMA «È una sentenza che fa chiarezza solo sul periodo precedente al varo del Jobs act, nulla aggiunge all’incertezza e alla confusione attuale». Per il giuslavorista Michele Tiraboschi il percorso verso un quadro più limpido sul trattamento relativo alle norme che regolano il licenziamento individuale tra lavoratori pubblici e privati è ancora molto lungo.
Professore, la Cassazione ha stabilito che l’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, così come riformato dalla legge Fornero, vale anche per i dipendenti pubblici. Una novità importante che spazza via molti dubbi, non crede?
«Nella sentenza la Cassazione definisce questo principio “innegabile” e dice che al lavoro pubblico si applica la legge 300 con lo Statuto dei lavoratori. E quindi da questo punto di vista, si, toglie molti dubbi interpretativi. E dà ragione a chi ha sempre sostenuto la tesi che la riforma Fornero valeva anche per i dipendenti pubblici. Questo però non incide sulla situazione attuale».
Intende il passo avanti fatto dal Jobs act che, con l’introduzione del contratto a tutele crescenti, abolisce l’articolo 18 per i nuovi assunti?
«Il nuovo regime parla di tutele crescenti per operai, impiegati e quadri. E il sistema di classificazione della pubblica amministrazione non è fatto di operai, impiegati e quadri. Questo già fa capire che il legislatore stava pensando solo al lavoro privato. Cosa poi confermata a più riprese dal governo e anche dalla relazione di accompagnamento alla stessa norma».
Il dipendente pubblico è comunque licenziabile.
«Certo, rispettando le norme e le procedure dello Statuto dei lavoratori. Nel caso della sentenza in questione, il dipendente è reintegrato perché tali procedure non sono state rispettate».
Insomma, per quanto riguarda la disciplina sul licenziamento individuale, resta in piedi il dualismo tra dipendente pubblico e dipendente privato?
«Assolutamente si, come hanno detto il ministro Marianna Madia e il ministro Giuliano Poletti. Ma io non parlerei di dualismo».
E di cosa?
«Le disparità di trattamento in questo momento sono più di due. C’è quella tra lavoratori pubblici e privati, visto che come abbiamo detto il Jobs act non si applica alla pubblica amministrazione, nonostante ci sia una regola del 2001 che impone al legislatore di non fare differenze. Ma c’è anche quella, all’interno dello stesso settore privato, tra chi è stato assunto dopo il 7 marzo 2015 e chi invece è stato assunto prima: questi ultimi sono ancora tutelati dallo Statuto così come riformato dalla Fornero, per gli altri invece con l’applicazione del contratto a tutele crescenti l’articolo 18 è superato».
Secondo lei sarebbe giusto arrivare alle stesse regole per tutti?
«Si, assolutamente. Il governo ha detto superiamo il dualismo del mercato del lavoro, tutelati e non tutelati. Invece sono stati creati due regimi paralleli che andranno avanti per vent’anni. Questo crea caos e confusione. Invece io ritengo che le regole devono essere uguali per tutti».

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