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Data: 02/12/2015
Testata giornalistica: Corriere della Sera
Pensioni, che beffa per i 35enni: andranno in pensione a 75 anni e con un assegno più basso del 25%

Il futuro pronosticato dalle simulazioni dell’istituto di previdenza non è incoraggiante: si lavorerà più a lungo, ma le pensioni saranno più basse rispetto alle generazioni che li hanno preceduti. Problemi per chi perderà il lavoro prima dei 70 anni

Chi oggi ha 35 anni prenderà una pensione più bassa del 25% rispetto a quella delle generazioni che li hanno preceduti (per esempio, i nati intorno al 1945) pur lavorando almeno fino a 70 anni (sorte che toccherà al 40% dei lavoratori) ma anche fino a 75 anni, cosa che capiterà a molti «nell’ipotesi di un tasso di crescita del Pil dell’1%». Lo ha detto il presidente dell’Inps, Tito Boeri, presentando una simulazione sulla base di un campione di circa 5.000 lavoratori nati nel 1980. L’importo medio scenderà infatti da 2.106 a 1.593 euro; l’importo medio delle pensioni anticipate da 2.380 a 1.840 euro. Il dato tiene conto anche degli anni di percezione dell’assegno, quindi considera il fatto che i giovani di oggi avranno la pensione per meno anni rispetto ai genitori.

Si lavorerà di più per avere di meno

Quando si analizzano gli importi di pensione - ha spiegato Boeri nel corso della presentazione del Rapporto Ocse Pensions at a Glance 2015 - «bisogna tenere conto anche da quando questi assegni sono stati percepiti». Se si guarda alla distribuzione per età alla decorrenza delle pensioni dirette del Fondo lavoratori dipendenti tre quarti sono state percepite prima dei 60 anni. Secondo le proiezioni Inps per i lavoratori classe 1980 solo il 38,67% la prenderà prima dell’età di vecchiaia, che per gli attuali 35enni significa nel 2050 a 70 anni di età. Sarà più basso quindi il trasferimento pensionistico complessivo (perché percepito per meno anni), ma anche il tasso di sostituzione medio rispetto alla retribuzione che sarà intorno al 62%. «Si lavorerà più a lungo - ha detto Boeri - anche in rapporto alla speranza di vita. Le pensioni saranno del 25% più basse di quelle di oggi tenendo conto degli anni di percezione» e ci saranno, a fronte di una crescita del Pil all’1% e di possibili interruzioni di carriera, «problemi di adeguatezza» dell’importo. Con il sistema contributivo inoltre, se non si metterà in campo uno strumento di sostegno contro la povertà come il reddito minimo, ci saranno «problemi per chi perderà il lavoro sotto i 70 anni».

Pensionati più ricchi dei lavoratori

I pensionati hanno sofferto la crisi economica meno di coloro che hanno un reddito da lavoro dipendente. La differenza tra i redditi da pensione e quelli di lavoro tra il 2007 e il 2013 si è ridotta infatti da 5.760 euro a 4.320 euro. Nel 2013 in media i redditi erano pari a 16.280 euro per i pensionati e a 20.595 per i lavoratori dipendenti. «La povertà in Italia - ha detto Boeri - è aumentata solo sotto i 65 anni. I redditi da pensione sono stati preservati maggiormente rispetto all’inflazione».

Le donne più povere degli uomini

Alle interruzioni legate ai contratti precari, si aggiungono, poi, per le donne, le interruzioni legate alla gravidanza «alla quale spesso si associa anche un cambio di lavoro», denuncia Boeri. «Queste sono le carriere tipiche vere, reali», puntualizza, alle quali bisogna fare riferimento quando si considerano simulazioni sulla effettiva capacità contributiva di lavoratori e lavoratrici. Questo comporta, prosegue, che se le donne tra i trenta e i quaranta anni decidessero tutte di avere un figlio, una su tre si dovrebbe accontentare nel 2050 di una pensione di 750 euro. «Naturalmente l’interruzione di carriera - sottolinea Boeri - non è una scelta, è una cosa che si subisce ed è un problema sul quale torneremo». In generale la distribuzione delle fasce di importo del trattamento pensionistico si sposta drasticamente verso il basso, nel caso di interruzioni legate alla maternità, e i trattamenti sopra i 2000 euro crollano da circa il 30% delle donne a circa il 10% di loro.

Il 15% dei 18-25enni è povero

E purtroppo le cose non sembrano destinate a migliorare. Il rapporto Ocse «Pensions at a glance 2015» presentato oggi dà atto al nostro Paese di aver intrapreso un cammino virtuoso ma sottolinea che quanto fatto finora non basta. Il nostro Paese ha la spesa previdenziale più alta dopo la Grecia rispetto al Pil (15,7% nel 2013 a fronte dell’8,4% medio nell’Ocse) e contributi previdenziali sul lavoro dipendente rispetto alla retribuzione al 33%, percentuale top tra i Paesi Ocse. I pensionati attuali - emerge dal Rapporto - hanno tassi di sostituzione netta rispetto al salario medio, vicini all’80% a fronte del 63% medio dei paesi più sviluppati e assegni in media largamente superiori ai contributi versati. Con la riforma del 2011 - spiega l’Ocse - sono state adottate importanti misure per ridurre la generosità del sistema. Ma il rischio di povertà - sottolinea il Rapporto - si è trasferito dagli anziani ai giovani: «Il 15% delle persone tra i 18 e i 25 anni sono povere. E la situazione di chi è giovane oggi rischia di essere difficile anche in futuro».

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