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Pescara, 23/11/2024
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Data: 28/12/2015
Testata giornalistica: Il Messaggero
Partecipate, riforma al via un terzo verso la cessione. Nel decreto che il governo approverà a gennaio i criteri per la dismissione. Via le società inutili, troppo piccole o in perdita per quattro anni su cinque.

ROMA Chiusura entro un anno e mezzo di circa un terzo delle società attualmente esistenti, mobilità obbligatoria per i dipendenti, stretta sulle retribuzioni dei vertici. Per il riassetto delle partecipate pubbliche - dopo annunci e false partenze - ormai dovrebbe essere davvero questione di giorni: il relativo decreto legislativo farà parte del pacchetto di provvedimenti in attuazione della riforma Pa, che, come confermato ieri anche dal presidente del Consiglio, il governo approverà alla ripresa di gennaio.
Il tema del cosiddetto “capitalismo municipale” (ma pure regionale, provinciale e così via) è certamente tra i più caldi dell’intera riforma della Pa; anche perché non è certo la prima volta in anni recenti che un governo tenta di intervenire sulla galassia di società esistenti, il cui numero è stimato in circa 10 mila, non esistendo però nemmeno un conteggio univoco a causa dei diversi criteri possibili. Società che sono dedite alle attività più disparate, dalla gestione dei servizi all’informatica, dai beni culturali all’agricoltura. In realtà un programma di concentrazione e razionalizzazione era già previsto dalla manovra dello scorso anno, affidato agli stessi enti locali chiamati a presentare appositi piani da realizzare poi entro l’anno. Nella maggior parte dei casi i programmi sono stati presentati, in altre situazioni è dovuta intervenire la Corte dei Conti: lo scenario complessivo però almeno finora non è cambiato di molto.
I PARAMETRI
Appare un po’ più drastico, almeno sulla carta, l’approccio del nuovo decreto. È previsto infatti che nella prima fase di attuazione del decreto, ovvero sei mesi dalla sua entrata in vigore, scatti dopo apposita ricognizione la dismissione obbligatoria delle partecipazioni “fuorilegge”, ovvero quelle che non rientrano in una serie di criteri elencati in modo abbastanza dettagliato. Resta possibile anche lo strumento della liquidazione.
Candidate all’estinzione sono innanzitutto le società che producono beni o servizi non strettamente necessari in base alla finalità istituzionale dell’amministrazione. Rispetto a questo criterio generale sono previste una serie di eccezioni specifiche: produzione di un servizio nel rispetto delle direttive europee, progettazione o gestione di un’opera pubblica, autoproduzione di beni o servizi strumentali (sempre nel rispetto delle direttive europee), supporto a enti senza scopo di lucro, valorizzazione degli immobili (ma in questo caso il sessanta per cento deve restare ai privati). Al di là di questa casistica generale, la tagliola dovrebbe scattare in una serie di situazioni particolari: nel caso delle società prive di dipendenti o con numero di amministratori superiore a dipendenti, di quelle che svolgono attività analoghe o simili a quelle già svolte da altri (i famosi doppioni), di quelle che nel triennio precedente hanno avuto un fatturato inferiore ad una certa soglia (sarà definita solo all’ultimo momento), delle società che hanno prodotto un risultato di bilancio negativo per quattro dei cinque anni precedenti (escluse quelle costituite per la gestione di un servizio di interesse generale).
Oltre all’applicazione dei parametri, resta per gli enti territorali la possibilità di procedere alla dismissione per la necessità di contenere i costi o per realizzare aggregazioni. La cessione delle società dovrà avvenire entro un anno dalla loro individuazione, che come detto è prevista entro sei mesi dal decreto. Per i lavoratori coinvolti c’è in campo anche lo strumento della mobilità obbligatoria.
LE RETRIBUZIONI
Come sempre, la reale portata del riassetto dipenderà dai dettagli finali del provvedimento, che inevitabilmente ne condizioneranno l’attuazione. Ad esempio, nell’ultima versione del testo, l’articolo 25 relativo alle disposizioni transitorie rinvia ad un allegato nel quale saranno inserite le società esclude per un anno dalla nuova disciplina. Ulteriori esclusioni ancora più generali possono essere disposte con decreto del presidente del Consiglio dei ministri, mentre le società quotate sono toccate solo in modo limitato dalle nuove regole. Servirà un ulteriore provvedimento di Palazzo Chigi, da adottare entro sei mesi, anche per fissare i parametri relativi alla remunerazione degli amministratori delle società. La parte variabile dovrà essere commisurata ai risultati di bilancio e non potrà essere corrisposta nel caso in cui questi siano negativi.

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