ROMA Un salto di 18 mesi per le lavoratrici, a cui se ne aggiungono altri quattro che riguardano anche gli uomini. Se la legge di Stabilità che sta per entrare in vigore contiene limitate novità in tema di pensioni, il 2016 sarà l’anno in cui scattano invece passaggi importanti della riforma Monti-Fornero, destinatati a penalizzare soprattutto le donne. Dal primo gennaio infatti quelle che lavorano nel settore privato vedranno l’età della pensione scattare dai 63 anni e 9 mesi a 65 anni e 3 mesi. Ma siccome poi per maschi e femmine questo sarà anche l’anno di un nuovo incremento di 4 mesi di tutti i requisiti, legato alla crescita della speranza di vita, ecco che l’età effettiva passa per le dipendenti private a 65 anni e 7 mesi, con un balzo di 22 mesi. Quasi due anni. Mentre per gli uomini e le lavoratrici del settore pubblico, che avevano già raggiunto i 66 anni e 3 mesi in precedenza, l’asticella passerà a 66 e 7 mesi. Ma non finisce qui: il meccanismo che collega le regole previdenziali all’aumento della durata della vita si applica non solo al quando, ma anche al quanto della pensione. Così sempre dal prossimo primo gennaio cambieranno i coefficienti usati per trasformare in rendita la quota contributiva della pensione maturata (in realtà ancora piccola per la maggior parte dei lavoratori): il risultato è una riduzione di questa componente dell’assegno dei futuri pensionati, nella presunzione che l’assegno stesso sia percepito più a lungo.
LA PARIFICAZIONE La diversità di requisiti per la pensione di vecchiaia dipende dalla scelta fatta proprio nel 2011 di uniformare il trattamento di uomini e donne. Queste ultime fino a qualche anno fa avevano il diritto a uscire a 60 anni, aspettando però altri 12-18 mesi per il cosiddetto meccanismo delle finestre. La parificazione per le dipendenti pubbliche era già avvenuta in modo brusco a seguito di una sentenza europea: per le private è stato invece fissato un percorso un po’ più graduale di avvicinamento ai 66 anni di fatto degli uomini, percorso che risulta però inasprito proprio dalla necessità di tenere conto anche dell’aspettativa di vita. Il prossimo e penultimo scatto è previsto nel 2019, quando l’età per la vecchiaia salirà a 66 e 7 mesi, mentre la parità (non si sa quanto ambita in questo caso) dovrebbe essere raggiunta nel 2021 a quota 67 anni e 2 mesi. Il cammino delle lavoratrici autonome, partite da una soglia di età più avanzata, è più lento: quest’anno erano a 64 anni e 9 mesi e il prossimo saranno a 66 e 1 mese, sperimentando dunque un aumento di 1 anno, più i 4 mesi della speranza di vita. Quest’ultimo incremento si applica anche al requisito contributivo per la pensione anticipata, che può essere conseguita indipendentemente dall’età (e senza penalizzazioni anche prima dei 62 anni, fino al 2018): per gli uomini serviranno dal 2016 42 anni e 10 mesi di contributi, per le donne - che anche negli anni futuri conserveranno questo piccolo vantaggio - solo 41 e 10 mesi. Più tecnica la novità legata ai coefficienti di trasformazione. Questi valori servono a determinare la pensione contributiva in base all’età in cui viene conseguita: sostanzialmente indicano per quanti anni l’assegno sarà percepito e “spalmano” di conseguenza il montante maturato. La variazione del 2016 determina una piccola riduzione degli importi conseguiti, rispetto a quelli di chi è andato n pensione fino al 2015. Nella maggior parte dei casi però l’effetto è minimo, visto che i lavoratori e le lavoratrici che avevano almeno 18 anni di carriera al primo gennaio 1996 (lo spartiacque della riforma Dini) si vedono calcolare il trattamento con il metodo contributivo solo per i contributi versati dal 2012 in poi, mentre per la restante e ben maggiore quota il calcolo è retributivo. Più significativo l’impatto per chi ricade nel cosiddetto sistema misto, avendo avuto meno di 18 anni di lavoro nel 1996: il calcolo contributivo scatta da questa data.
CHI È GIÀ A RIPOSO Tutte queste novità riguardano chi in pensione ci deve ancora andare. E chi è già a riposo? Nel 2016 succederà poco o nulla e questa in un certo senso è una notizia perché per la prima volta non ci saranno aumenti legati all’inflazione. L’indice piatto (ed anzi tendenzialmente negativo) del 2015 inchioda infatti i trattamenti al loro valore nominale di quest’anno. Avranno un incremento solo coloro che essendo stati colpiti dalla mancata rivalutazione per gli anni 2012 e 2013 attendono da gennaio un ultimo piccolo scatto legato alla (molto parziale) restituzione decisa dal governo a seguito della sentenza della Corte costituzionale.
Il caso della classe ’53: fuori dal lavoro solo nel 2020
ROMA Tutte le riforme della previdenza possono colpire i lavoratori che pensavano di essere vicini al traguardo della pensione. Ma per qualcuno la botta è più dura che per altri. Il drastico riassetto inserito a fine 2011 nel cosiddetto decreto “salva-Italia” ed entrato in vigore dall’anno successivo costrinse i più sfortunati a rinviare i propri programmi anche di 4-5 anni o ancora di più in casi particolari. L’annata nera fu individuata nel 1952: i nati in quell’anno hanno visto sfumare - se donne - la pensione di vecchiaia che avrebbero potuto maturare nel 2012 a 60 anni, mentre per entrambi i sessi è venuta meno la possibilità di andare in pensione di anzianità con almeno 35-36 anni di contributi e l’età richiesta di 60-61 (la famosa “quota 96”). Per loro, nel caso fossero dipendenti privati - è stata poi appositamente predisposta una scappatoia che permetteva quanto meno l’uscita a 64 anni.
OPZIONE CONTRIBUTIVO Ma per le signore nate nell’anno immediatamente successivo, che lavorano nel settore privato, le tappe della riforma Fornero disegnano una sorta di percorso a ostacoli che le farà accedere alla pensione di vecchiaia solo nel 2020, alla soglia dei 67 anni (per la precisione 66 e 11 mesi). Infatti dal prossimo primo gennaio il requisito per la pensione di vecchiaia passa a 65 anni e 7 mesi. Una dipendente nata nei primi mesi del 1953 raggiungerebbe questo traguardo nel 2018. Peccato però che dal primo gennaio di quell’anno l’asticella sarà ancora rialzata, passando a 66 anni e 7 mesi. Appuntamento rinviato solo di un anno? No perché dal 2019 è previsto un ulteriore incremento di tutti i requisiti per il meccanismo della speranza di vita: dunque l’età richiesta salirà a 66 anni e 11 mesi. Le porte della pensione si apriranno quindi solo nel 2020.
Tutto ciò rende ancora più appetibile, per le lavoratrici con almeno 35 anni di contributi, l’opzione donna che la recente legge di Stabilità ha prolungato di fatto, ribaltando la precedente interpretazione restrittiva.
IL MECCANISMO Ad esempio una dipendente nata a giugno del 1953, che abbia raggiunto a quella data il requisito contributivo di 35 anni, avrebbe già conseguito “retroattivamente” quest’anno il diritto alla pensione, calcolata però con il meno favorevole sistema contributivo sull’intera carriera (e dunque con una riduzione che può arrivare al 20-25 per cento). Se opterà, dovrà aspettare ancora un anno per il meccanismo delle finestre e potrà effettivamente andare in pensione nel corso del 2016.