Mobilità obbligatoria e i Comuni potranno assumere i dipendenti delle municipalizzate.
ROMA Il ridimensionamento del capitalismo municipale, formato da diverse migliaia di società, ottomila circa secondo le stime più attendibili, è stata una delle prime promesse di Matteo Renzi. Ma la riforma, fino ad oggi, ha subito diversi stop and go, soprattutto per le resistenze sul territorio. Nelle società municipali, del resto, lavorano quasi un milione di persone, e si stimano oltre 20 mila poltrone nei consigli di amministrazione, spesso refugium peccatorum di politici battuti alle elezioni. Dopo mesi di annunci, nel prossimo consiglio dei ministri sta per arrivare il decreto che, almeno secondo la retorica renziana, dovrebbe ridurre da 8 mila a poco più di mille le società partecipate dai Comuni. In realtà, dire quante società saranno chiuse con l’adozione del provvedimento non è semplice. Nel medio termine, secondo le stime che circolano tra i tecnici che lavorano al testo, la saracinesca potrebbe calare sulla metà delle partecipate, circa 4 mila. Il che, tra l’altro, porterebbe ad un dimezzamento anche dei posti nei cda. Molto dipende da come saranno sciolti alcuni nodi che il testo, che Il Messaggero ha potuto leggere, lascia in sospeso e che il governo ha deciso di affrontare direttamente in consiglio dei ministri. I tempi, innanzitutto. Il decreto prevede che entro sei mesi tutte le amministrazioni dovranno effettuare una ricognizione delle proprie partecipate per individuare quelle «fuorilegge». I Comuni, infatti, saranno autorizzati a controllare solo società che fanno sostanzialmente cinque cose: producono un servizio di interesse generale, progettano e realizzano opere pubbliche, gestiscono un servizio di interesse generale insieme a un privato, autoproducono beni e servizi che servono all’amministrazione, supportano con i loro servizi enti senza scopo di lucro. Tutte quelle che non fanno uno di questi lavori vanno alienate entro un anno. Entro la fine del 2016, poi, tutti gli statuti delle società dovranno essere conformati. A questa prima scrematura se ne aggiungerà un’altra. Ogni anno le amministrazioni dovranno effettuare un censimento delle loro partecipate e presentare un piano di razionalizzazione. Se da questi piani emergessero società che non rientrano in quelle “lecite”, queste andranno vendute o liquidate. Stessa sorte toccherà alle società che risultino prive di dipendenti (quelle che hanno meno di 6 lavoratori sono circa 3 mila), a quelle che svolgono attività analoghe ad un’altra partecipata e a quelle sotto una certa soglia di fatturato. Dalle nuove norme sono escluse tutte le società quotate in Borsa.
LE ALTRE NOVITÀ
Altra novità, è che le società pubbliche potranno anche fallire. Fino ad oggi non era pacifico. Un eventuale salvataggio, in caso di crisi, potrà essere autorizzato dalla Presidenza del Consiglio solo in caso di grave pregiudizio per un interesse pubblico. In caso contrario i Comuni dovranno portare i libri in tribunale. Ma questa razionalizzazione porterà a licenziamenti? L’impegno del governo è che ciò non avvenga. Tanto è vero che il decreto prevede una mobilità obbligatoria dei dipendenti tra diverse municipalizzate e anche la possibilità per i Comuni di riportare al proprio interno i lavoratori che erano stati spostati verso le municipalizzate. Il provvedimento, infine, stabilisce un nuovo tetto ai super-compensi degli amministratori (rinviato ad un decreto del Tesoro), e il divieto di assegnare dei bonus alla fine dei mandati.