ROMA Enrico Zanetti, sottosegretario all’Economia, tira in ballo Checco Zalone. In fin dei conti nel suo fortunato film, «Quo vado», ironizza proprio sul mito del “posto fisso”, quello dello statale inamovibile. «Ma ridevamo», dice Zanetti, «pensando alle storture di sperequazioni da superare, non alle bellezze di un modello da perpetrare». Sullo sfondo c’è la riforma delle partecipate pubbliche, che il governo di prepara ad affrontare con un decreto che sarà approvato nel prossimo consiglio dei ministri. L’idea di Palazzo Chigi è di far dimagrire, e di molto, il capitalismo municipale. Delle 8 mila società partecipate che aveva censito l’ex commissario alla spesa Carlo Cottarelli, il decreto dovrebbe avere impatto su circa 3.500. Non riguarderà infatti le associazioni e le fondazioni che pure erano state conteggiate da Cottarelli. Di queste 3.500, secondo i calcoli del ministero della funzione pubblica, ne dovrebbero essere chiuse circa 2 mila. La domanda è: che fine faranno i dipendenti di queste società? Nelle bozze di provvedimento che circolano, e che Il Messaggero ha potuto leggere, una risposta c’è. Gli esuberi non verranno lasciati a casa. Il sistema che il decreto mette in piedi è molto simile a quello utilizzato nel caso delle Province. Innanzitutto ci sarà una mobilità obbligatoria tra le partecipate. Significa che un dipendente di una società che sarà liquidata, potrà essere trasferito in un’altra società pubblica senza il suo consenso. Non solo. Come già era accaduto per le Province, le altre partecipate della Pubblica amministrazione, nei loro piani di assunzione, dovranno dare la precedenza ai lavoratori delle società che saranno chiuse. C’è poi un secondo scivolo. La possibilità per le amministrazioni socie di reinternalizzare il personale. Questa strada potrà essere però battuta solo nel caso in cui un Comune o una Regione, abbiano esternalizzato un proprio servizio, creando una società in house che verrà chiusa. Solo in questo caso potranno «riassumere» i loro vecchi dipendenti.
LA REAZIONE
Contro le corsie preferenziali riservate ai dipendenti delle partecipate si è scagliato, come ricordato, Zanetti, che oltre ad essere uno dei vice del ministro Pier Carlo Padoan è anche segretario politico di Scelta Civica. Così, seguito dall’intero partito, ha chiesto a Renzi che ai dipendenti delle società pubbliche vengano applicate «le stesse regole» di quelle private.
Un’altra questione riguarda invece l’eventuale azzeramento dei vertici di tutte le società a partecipazione pubblica, eccetto le quotate. Il decreto prevede che le aziende controllate dalle amministrazioni pubbliche, comprese quelle del Tesoro (come Sogei, Consip, Ferrovie), debbano avere di regola un amministratore unico, anche se poi il comma successivo ammette anche consigli di amministrazione a tre o cinque membri e persino il sistema duale. Questa norma, in realtà, non è cambiata, è la stessa già prevista dalla spending review del governo Monti. Solo che il decreto dice che le amministrazioni dovranno adeguare i loro statuti alle nuove regole entro fine 2016. Questo, secondo alcune letture, potrebbe comportare l’azzeramento dei cda. Secondo fonti del ministero, invece, non ci sarà nessun impatto sui board già in carica.