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Pescara, 23/11/2024
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13/01/2016
Il Messaggero
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Contratti, il governo: «Il Jobs act non si tocca». Renzi a Cgil Cisl e Uil: «È finito il tempo dei rinvii, senza accordi interveniamo noi». |
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ROMA Arriva il primo no ad alcuni punti fondamentali del documento unitario sulla riforma dei contratti e delle relazioni industriali che Cgil Cisl e Uil si apprestano ad approvare domani. Ed è un no secco e di peso. A decretarlo è Matteo Renzi. Il premier proprio non ci sta ad assistere al rientro dalla finestra (attraverso la contrattazione aziendale) l’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, dopo che il suo governo lo ha fatto uscire dalla porta principale con il contratto a tutele crescenti. «Aver eliminato l’articolo 18 è l’operazione più di sinistra che abbiamo fatto» rivendica Renzi, durante un’intervista a Repubblica Tv. «Ora ci sono più garanzie di prima, chi ha un contratto a tutele crescenti, ad esempio, va in banca e ottiene un mutuo» dice. Il concetto è chiaro: il Jobs act non si tocca, indietro non si torna. Per gli industriali è una sponda importante. Certo il rischio - che anche Confindustria non vede di buon occhio - è che il governo scenda in campo e decida lui l’esito della partita. Ieri Renzi lo ha ribadito: «O fanno gli accordi o ci pensiamo noi. Io sono pronto: è il tempo della legge sulla rappresentanza. È il tempo di mettere la parola fine a questo costante rinvio». LE DISTANZE I sindacati considerano la loro proposta - che abbraccia l’intero arco delle relazioni industriali dal modello contrattuale, alla partecipazione fino alle regole sulla rappresentanza - un grande risultato, raggiunto dopo anni di polemiche interne. Ma gli industriali non nascondono delusione e disaccordo. Il presidente di Federmeccanica, Fabio Storchi - che sta portando avanti un difficilissimo match sul rinnovo del contratto di categoria - parla di «distanze enormi» e definisce le proposte sindacali del documento unitario «vecchio stile». La sensazione - anche del governo, a giudicare dalla parole del premier - è che il punto di mediazione raggiunto tra le tre organizzazioni sindacali sia troppo poco innovativo, se non addirittura solo un modo di prendere tempo, proprio per evitare la paventata legge sul salario minimo legale (è l’unica parte della delega del Jobs act che il governo per ora non ha esercitato). Ieri Renzi, pur senza ricorrere a toni sprezzanti utilizzati in tempi non troppo lontani, non ha lesinato la sua “solita” stoccata al sindacato: «È una grande istituzione democratica, e in Italia ce ne sono tantissimi, forse troppi». Un concetto, quest’ultimo, che Confindustria sicuramente condivide. Quello che però non piace agli industriali - e per questo vorrebbero evitare un intervento legislativo - è la messa in discussione che il premier fa del ruolo di mediazione delle parti sociali. Ma di fronte a quello che considerano un tentativo sindacale di riportare indietro nel tempo le lancette dell’orologio, potrebbe essere i male minore. Intanto l’altra notte il tavolo per il contratto degli alimentaristi è saltato, dopo che le imprese hanno detto no alla richiesta di aumento salariale di 150 euro e alle deroghe al Jobs act.
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