L’accusa: malagestione e distruzione del patrimonio E spunta il caso di quattro navi acquistate e mai usate.
ROMA Debiti per 600 milioni di euro e lo stesso amministratore delegato che ha gestito la società, di proprietà del ministero dei Trasporti, per 26 anni, fino al fallimento, dichiarato formalmente nel 2010.
E’ la storia di Tirrenia, la società dei traghetti italiani che collegava la Penisola alle isole maggiori e la Sicilia e le isole minori. Guardandola con gli occhi di oggi, un’Alitalia in scala minore. In questi giorni, la procura di Roma ha chiuso il fascicolo per bancarotta fraudolenta contestata all’ammininistratore delegato Franco Pecorini, gentiluomo di Papa Wojtyla, rimasto sempre al suo posto, mentre i governi, di tutti i colori politici, si avvicendavano.
Il Tribunale fallimentare di Roma ha dichiarato lo stato di insolvenza nell’agosto del 2010 e la società, dopo un paio di anni, è stata acquistata dal gruppo Compagnia italiana navigazione che gestisce anche Moby lines e Gruppo Grimaldi.
Fondamentale, per l’inchiesta dei pm Stefano Pesci e Stefano Rocco Fava, è stata la relazione dei commissari liquidatori ora allegata agli atti. L’elenco delle spese poco sensate fatte da Tirrenia è lungo. Noto è quello dell’esistenza per ogni nave di due equipaggi al completo, in modo che ogni lavoratore avesse diritto a un giorno di riposo dopo la navigazione, e di stipendi del 25% maggiori di quelli delle compagnie sul mercato.
LE NAVI ABBANDONATE
Tra i fatti citati nella relazione, che comunque non sono stati collegati direttamente alle contestazioni per la difficoltà di definire la condotta «dissipatoria», la vicenda dell’acquisto di quattro navi veloci praticamente mai utilizzate per la difficoltà di gestirne i costi. Nei primi anni 2000, vengono infatti comprate sul mercato quattro navi della classe Jupiter: Aries, Taurus, Capricorn e Scorpio. Ognuna costa circa cinquanta milioni di euro e tutte promettono prestazioni di prima categoria: possono percorrere la rotta Civitavecchia-Abatax in cinque ore anziché dodici. Peccato che i costi siano mostruosi: ogni minuto di quelle cinque ore, le navi Jupiter consumano 280 chili di gasolio invece dei quarantuno dei traghetti. Aumento dei costi talmente proibitivo che dopo poco le navi sono state abbandonate. Dopo il fallimento sono anche state messe in vendita, ma niente da fare. Ancora oggi sono parcheggiate nel porto di Civitavecchia in attesa di futuro.