ROMA Il risparmio c’è ed è consistente: 12 milioni di euro. Tanto ha risparmiato l’universo pubblica amministrazione per il dimezzamento dei distacchi e dei permessi sindacali in seguito alla norma contenuta nel provvedimento Madia dell’estate 2014. Una somma che diventa ancora più significativa considerando che si riferisce solo al primo quadrimestre di entrata in vigore della norma, ovvero l’ultimo del 2014. A rendere nota la cifra - indicata ancora come «una stima» e non un consuntivo - è lo stesso ministero guidato da Marianna Madia nella relazione al Parlamento. E visto che la matematica non è un’opinione, se davvero in un solo quadrimestre la Pa ha risparmiato 12 milioni di euro, per l’intero 2015 il gruzzolo dovrebbe ammontare a 36 milioni di euro.
Il provvedimento a suo tempo fu accolto dai diretti interessati, ovvero i sindacati, come una vera e propria dichiarazione di guerra da parte del governo Renzi al sistema delle rappresentanza dei lavoratori, frutto solo di una crociata demagogica. «L’effetto sulle casse dello Stato sarà molto inferiore a quello che il governo calcola» predissero allora i leader sindacali. La relazione tecnica di accompagnamento al decreto parlava di un risparmio di circa dieci milioni di euro annui. E invece viaggiamo già a cifre molto superiori.
LA STRETTA
Eppure la norma non ha raggiunto tutti gli obiettivi. La stretta su permessi e distacchi avrebbe dovuto far rientrare in ufficio, secondo il provvedimento, 1250 sindacalisti. Invece in base alla relazione, i rientri sono stati poco più della metà, 668. Evidentemente le deroghe previste - il dimezzamento, ad esempio, non si applica alle Rsu e alle rappresentanze che hanno un solo delegato - hanno “salvato” molte più persone di quelle stimate.
Nel 2014 si sono assentati dal lavoro, per distacchi e permessi sindacali, 3.757 pubblici dipendenti: uno ogni 704, precisa la relazione. Il costo per le casse dello Stato è stato notevole: 116 milioni di euro. La fetta maggiore, 95 milioni di euro, è rappresentata dal «personale dei comparti e delle aree di contrattazione», mentre altri 21 milioni sono stati sostenuti «per il personale appartenente alle amministrazioni non soggette a controllo (Forze di Polizia ad ordinamento civile, Corpo Nazionale dei Vigili del fuoco, Prefetti, personale della carriera Diplomatica e della carriera Prefettizia, Province Autonome e Regioni a Statuto speciale)». Il ministero precisa che «alla data del consolidamento dei dati (13 aprile 2015), ha assolto l’obbligo di fornire le informazioni richieste il 98,37% delle amministrazioni Pubbliche, nelle quali opera l’88,05% dei dipendenti».
Dopo la diffusione dei dati si è assistito a un assordante silenzio in casa sindacale. Solo la generale della Fp-Cgil, Rossana Dettori, ha commentato accusando il governo di creare volutamente confusione: «Paragonare i permessi sindacali con le assenze è un’assoluta forzatura. Non si possono, infatti, confondere le libertà sindacali, garantite dalla Costituzione, insieme al ruolo e al valore dell’attività sindacale, con assenze non meglio specificate. Così facendo si continua solo ad alimentare l’attacco generalizzato al lavoro pubblico e ai servizi pubblici». Detto ciò - sottolinea la sindacalista - a questo punto sarebbe bene che «i risparmi generati con l’applicazione della legge siano reinvestiti per migliorare la qualità dei servizi ai cittadini».