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Data: 18/02/2016
Testata giornalistica: Il Messaggero
«All’Abruzzo serve una nuova bussola». Macroregione, fine dei sogni. Dopo la politica pure Confindustria Marche verso Umbria e Toscana. Sfuma la cerniera adriatico-ionica L’Abruzzo dei localismi ora dovrà guardare a sud. Lo storico economico Felice: «Scenario sconcertante».

PESCARA Ceriscioli tiene palla, formalmente ondeggia ancora tra Marca adriatica e Terza Italia. I poteri forti, invece, al di là del Tronto hanno deciso: è a Ovest, lungo la direttrice Umbria-Toscana, il destino della regione e così Confindustria annuncia l’avvio della governance comune con le due territoriali cugine. Fine del sogno adriatico-ionico declamato in cento convegni. Anche perché, dalla Perugia-Ancona alla Fano-Arezzo, dal Quadrilatero all’alta velocità, la realtà è già molto più avanti delle parole. «Scenario sconcertante», lo definisce lo storico dell’economia Costantino Felice. «La fine di un’illusione ultra decennale, quella dell’aggancio, della regione cerniera, del nord del sud in rotta di convergenza con il modello adriatico. La prospettiva che si apre è quella della completa meridionalizzazione, pesante più sul piano politico-sociale che su quello politico. È l’ultimo dazio che l’Abruzzo paga ai localismi, al fragile mito del piccolo è bello, alle trappole delle identità. A pensarci bene, la stessa idea della rincorsa riassunta nell’immagine della locomotiva nasceva debole: ecco, questa lezione dovrebbe insegnarci a non sentirci vagone e imprimere all’Abruzzo una autonoma capacità trainante».
LA RETORICA DEI TERRITORILa politica, certo. L’economia. Ma in generale tutte le classi dirigenti e le élite culturali sono convocate da questa sfida, dice il professor Felice: «Serve rifare l’elenco? Casse di risparmio, università, sanità, uffici pubblici, nomine. Persino organizzazione confindustriale e Camere di commercio: non c’è partita che non sia intossicata dalla retorica dei territori. Quando invece l’urgenza è rappresentata dalla retorica dei progetti, da una nuova visione strategica e dalla necessità di fare sistema. Alla luce delle scelte marchigiane penso che l’orizzonte obbligato dell’Abruzzo sia la linea adriatica che lega Molise e Puglia, ma in rapporto con le aree metropolitane del Tirreno: Roma e Napoli. La riscoperta dell’Appennino, insomma, per aggiungere valore alle leve economiche rappresentate da industria, agroalimentare e turismo. Onestamente, a tutti i livelli noto un certo ritardo».
Fare sistema, ma attenzione ammonisce Costantino Felice. «Anche questa formula può essere intossicata dal particolarismo, dall’illusione che basti aumentare la forza contrattuale per invocare aiuti dal centro. Un neo rivendicazionismo che ha come unico sbocco la modernizzazione passiva, male assoluto del Mezzogiorno attuale».
L’AZZARDO MARCHIGIANOFuori da ogni sentimento da stadio, a fare rabbia è che l’ultimo strappo dalle Marche sia prodotto da una regione a sua volta afflitta da una congiuntura pesante, di cui Banca Marche rappresenta soltanto l’ultimo fotogramma. «Anche loro fanno i conti con la fase declinante di un modello, quello dei distretti. Ma - riflette Felice - reagiscono con una nuova visione e, forse, con l’illusione che la rottura a sud con Abruzzo e Molise per convergere verso Umbria e soprattutto Toscana sia un gioco a somma positiva. Personalmente vedo anche il limite di questa equazione, quello di contrapporre una Terza Italia alle tentazioni autonomiste dell’Italia padana finendo per alimentare altri e più gravi divari interni. Mi chiedo ad esempio perché tener fuori l’Emilia Romagna: fatti loro, comunque. Quanto a noi, smettiamo di essere vagone».

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