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Pescara, 26/07/2024
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Data: 26/02/2016
Testata giornalistica: Il Messaggero
Il capoluogo di regione e la rivolta di 45 anni fa di Giorgio Di Carlo(*)

Quarantacinque anni fa, venerdì 26 febbraio 1971, si tenne il consiglio regionale nel quale si decise che L’Aquila sarebbe stato capoluogo regionale dell’Abruzzo con le famose compensazioni per Pescara. Fu l’inizio della rivolta all’Aquila. Giorgio Di Carlo, allora segretario provinciale Dc di Pescara e autore insieme a Luciano Fabiani, omologo aquilano, del compromesso recepito dallo statuto ci ha scritto questo ricordo in prima persona del Patto di Popoli. . GiorgioDiCarlo .Q uel venerdì 26 febbraio a San Remo iniziava il Festival, che poi fu vinto daNicola Di Bari e Nada con «Il cuore è uno zingaro», all’Aquila era stato convocato il consiglio regionale eletto nel 1970, per votare lo Statuto della Regione Abruzzo. Una data, pare, stabilita non casualmente: l’attesa era molto viva e si temeva per l’ordine pubblico. La legge elettorale prevedeva espressamente che il primo consiglio regionale si dovesse riunire nella sede del consiglio provinciale del capoluogo di regione, e c’era chi sosteneva che l’indicazione del capoluogo non era di competenza del consiglio regionale, essendo stato già individuato dallo Stato nella legge. I consiglieri regionali però ribadivano che spettava all’organo legislativo abruzzese scegliere capoluogo e sede dei propri organi, con l’approvazione dello Statuto. I quaranta consiglieri regionali erano profondamente divisi: gli eletti nei collegi di L’Aquila e Teramo propendevano per L’Aquila, i colleghi di Pescara e Chieti per Pescara. Da mesi erano in corso dibattiti, polemiche e discussioni tra le forze politiche e nella società civile a L’Aquila ed a Pescara. In uno scritto di Giuliano Lalli (subcommissario al Comune e poi prefetto a Pescara) si legge : «Gli aquilani rivendicavano il diritto della città ad essere riconosciuta capoluogo regionale per la sua storia, che da tempo la vedeva sede della maggior parte degli uffici regionali dello Stato. Lo spostamento a Pescara del capoluogo era ritenuto una vera spoliazione della città. I pescaresi aspiravano a dare il titolo di capoluogo della regione alla propria città per lo straordinario sviluppo che Pescara aveva avuto in pochi anni rendendola per centro di riferimento per turismo, commercio e varie attività industriali».
I partiti erano alla disperata ricerca di una soluzione di compromesso che potesse essere accettata da tutti, cercando di coinvolgere anche i comunisti (all’epoca relegati all’opposizione) che, interessati a rompere l’isolamento, avevano inviato appositamente in Abruzzo uno dei dirigenti più in vista, il giovane Claudio Petruccioli. La Dc, partito di maggioranza, aveva convocato un summit a Roma, all’Eur, voluto dal segretario nazionale Arnaldo Forlani, ma si concluse con un nulla di fatto. E si pervenne a quel venerdì pomeriggio. Lalli: «Nella Prefettura si susseguivano incontri fra esponenti politici dei vari partiti alla spasmodica ricerca di una soluzione soddisfacente per entrambe le fazioni. A un tratto si ebbe notizia che in una località regionale era in corso un colloquio tra i segretari provinciali Dc dell’Aquila (Luciano Fabiani; ndr) e Pescara (chi scrive; ndr), per sbloccare l’impasse». L’incontro si stava svolgendo in gran segreto all’hotel Miramonti di Popoli. Nel frattempo in consiglio regionale le persone affluivano sempre più numerose. Si respirava un’aria di estrema tensione e di fervida attesa. Nessuno però faceva pronostici sull’esito della seduta. Verso sera improvvisamente si sparse la voce che l’accordo era stato raggiunto. Intorno alle 19 i consiglieri rientrarono in aula e il presidente Emilio Mattucci suonò il campanello e con voce rassicurante annunciò la soluzione trovata per il capoluogo e la sede degli organi regionali, contenuta nell’articolo 1 dello Statuto: L’Aquila”. Il pubblico esplose in un fragoroso applauso, ma Mattucci proseguì: «Le riunioni del consiglio e della giunta regionale avranno luogo a L’Aquila o a Pescara». Ancora Lalli: «Ricordo di aver udito soltanto l’inizio delle parole “Pe…” e di non aver percepito “…scara” perché si scatenò un putiferio indescrivibile. L’aula divenne una bolgia. Fischi, grida, insulti, lanci di monetine verso i consiglieri regionali, in particolare gli aquilani: una colpì il lampadario, un’altra il consigliere Federico Bruni, che reagì minacciando di lanciare una bottiglia verso il pubblico. Fu bloccato dal colonnello dei carabinieri Ricciarelli. Fra i vari epiteti rivolti ai rappresentanti aquilani il meno offensivo era “venduti”. Il presidente del consiglio terminò a stento la lettura dell’articolo dello Statuto che assegnava gli assessorati: sette a Pescara e tre a L’Aquila». La protesta divenne incontrollabile e i consiglieri regionali, per evitare il peggio, dovettero essere accompagnati prima nell’anticamera e poi nello studio del prefetto. Così fui accompagnato anch’io, che in quanto pescarese, avrei molto rischiato. Più tardi, all’Aquila, venne perfino incendiata la casa di Fabiani.

(*) già segretario provinciale Dc di Pescara

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