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Pescara, 25/07/2024
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Data: 09/03/2016
Testata giornalistica: Il Centro
Il pm: 6 anni a D’Ambrosio, ha pagato per la laurea. La procura chiede quasi 21 anni per sette degli 11 imputati del processo Ato. L’ex presidente avrebbe versato 63mila euro per superare gli esami di Economia

PESCARA Venti anni e nove mesi di reclusione: è la pena complessiva chiesta dalla procura di Pescara per sette degli undici imputati del processo sul cosiddetto "partito dell'acqua" che si sarebbe creato in Abruzzo nell'ambito dell'Ato numero 4 pescarese. La richiesta è stata formulata ieri dal pm Barbara Del Bono nel corso della sua requisitoria davanti al tribunale collegiale, presieduto dal giudice Rossana Villani. La pubblica accusa ha chiesto 6 anni per l'ex presidente dell'Ato Giorgio D'Ambrosio; 5 anni per il prof. Luigi Panzone; 4 anni e 3 mesi per il dirigente Nino Pagano; 1 anno e 6 mesi ciascuno per l'ex sindaco di Montesilvano Pasquale Cordoma, l'ex sindaco di Francavilla Roberto Angelucci e Gabriele Pasqualone, ex componente del cda; 1 anno per il dirigente Alessandro Antonacci. Le richieste di condanna riguardano solo alcuni capi di imputazione, perché per altri reati il pm ha chiesto il non doversi procedere per intervenuta prescrizione o l'assoluzione perché il fatto non sussiste. Del Bono ha, inoltre, chiesto la prescrizione per Vincenzo Di Giamberardino, ex dipendente, e Fabio Ferrante, dipendente. Per Franco Feliciani, ex componente del cda, ha invece chiesto l'assoluzione perché il fatto non sussiste da alcuni reati e la prescrizione per altri. Per l'imprenditore Ercole Cauti è stata chiesta l'assoluzione perché il fatto non sussiste. Gli imputati sono accusati a vario titolo, di peculato, corruzione, abuso d'ufficio, falsità materiale commessa da pubblico ufficiale in atti pubblici, falsità ideologica, distruzione di documenti, truffa ai danni dello Stato e in violazione dell'articolo 97 della Costituzione. Nel mirino, i viaggi personali a Roma di D'Ambrosio che sarebbero stati pagati dall’Ato, cene ritenute estranee ai fini istituzionali e che sarebbero state pagate dall’Ente, una laurea sospetta e incarichi a dirigenti dell’Ato che sarebbero stati prorogati senza selezione. Tutti aspetti dell'inchiesta che ieri il pm ha passato in rassegna affrontandoli non solo dal punto di vista tecnico, ma anche facendo valutazioni di natura etica. «Le telefonate intercettate sono chiare e dal contenuto anche un po' squallido», ha sottolineato, e «si collegano al passaggio di danaro, sicuro e documentato tra D'Ambrosio e Panzone, e alla posizione di difficoltà economica del professore universitario, che hanno portato al superamento degli esami da parte di D'Ambrosio». Il riferimento è all'accusa di corruzione che l'ex parlamentare del Pd condivide con Panzone, docente della D'Annunzio: D'Ambrosio, per il pm, lo avrebbe pagato per conseguire la laurea in Economia e management. «Il docente era protestato», ha detto Del Bono, «si trovava in una situazione economica pesante e l'ex presidente dell'Ato si è prestato, emettendo assegni per 63.700 euro, di cui la metà rimborsati». Il pm si è poi soffermato sulla gestione dell'Ato mettendo in risalto i viaggi a Roma che D'Ambrosio, all'epoca dei fatti deputato del Pd, avrebbe compiuto utilizzando l'auto dell'Ato. «D'Ambrosio», ha sostenuto il pm, «ha utilizzato l'auto dell'ente per andare in parlamento e i suoi viaggi coincidono con le votazioni alle quali ha partecipato». Un illecito, quello ipotizzato dall'accusa, che si configura come peculato d'uso e ormai coperto dalla prescrizione, come richiesto dal pm. L'attenzione è stata rivolta anche alla delibera del 2007 relativa alla proroga degli incarichi dirigenziali. «Una delibera», ha evidenziato il pm, «che risulta falsa in quanto formata a novembre, ma anticipata di un mese nella data, perché era intervenuta una legge che avrebbe portato al commissariamento dell'Ato, rendendo impossibile la proroga degli incarichi dirigenziali». Il processo è stato aggiornato al prossimo 3 maggio. In quell'occasione prenderà la parola il difensore di D'Ambrosio, l'avvocato Giuseppe Amicarelli. «Nel corso della prossima udienza», ha detto, «cercheremo di ribaltare l'impianto dell'accusa».

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