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Data: 21/03/2016
Testata giornalistica: Il Messaggero
Atac, inchiesta sugli appalti senza gara. Nel mirino della Procura oltre 20mila commesse in 5 anni: tutti i sospetti in un dossier consegnato dall’Anticorruzione. Il 90% di servizi e forniture affidato con procedure negoziate per evitare il bando pubblico. Indaga anche la Corte dei Conti. La voragine nei conti che tiene il Comune sull’orlo del dissesto.

Appalti assegnati senza gara con procedure negoziate ed evitando bandi pubblici. Sono le criticità segnalate dall’autorità Anticorruzione sulle commesse Atac: 20.324 bandi “mancati” per forniture e servizi sui quali adesso indaga la procura di Roma. Dall’affidamento diretto per acquistare pezzi di ricambio dei mezzi, fino alla gestione degli asili aziendali. Le verifiche riguardano gli ultimi cinque anni e commesse per circa 2 miliardi di euro. Gli inquirenti hanno aperto un fascicolo per verificare i profili penali e le responsabilità nelle procedure seguite. Sul caso indagano i magistrati del pool che si occupa dei reati contro la pubblica amministrazione, guidati dal procuratore aggiunto Francesco Caporale. Dal dossier, arrivato a piazzale Clodio, risulta che quasi il 90% degli appalti sarebbe stato assegnato senza gara pubblica. E sulla vicenda un fascicolo è stato aperto anche dalla Corte dei Conti.

LE CRITICITÀ

L’assegnazione potrebbe essere stata fatta violando le norme che prevedono una gara europea per appalti superiori al milione di euro e il ricorso alle procedure negoziate solo in casi straordinari. Il sospetto è che per restare sotto la soglia possano essere stati frazionati alcuni appalti. In effetti, scorrendo l’elenco dei lavori, risultano cifre ”sospette”, troppo basse rispetto alla media. Il caso più eclatante sembrerebbe quello della vigilanza armata e della manutenzione di treni e bus. Nel primo caso si è fatto ricorso a dieci procedure negoziate senza pubblicazione, che nel totale si aggirano sui 50 milioni di euro. La stessa cosa vale per la manutenzione di 53 convogli effettuata nel 2014-2015. Alcuni lavori assegnati tra il 2011 e il 2012 avrebbero poi importi apparentemente striminziti rispetto alla mole d’intervento. Come i 10.900 euro per la «sistemazione dei pali sulla linea Roma-Viterbo», o i 120mila stanziati per la «fornitura di traverse e legnami per scambi». Tutte commesse rigorosamente affidate con procedura negoziata. L’elenco di appalti al vaglio della procura è lunghissimo. Comprende anche il servizio di «potenziamento alimentazione elettrica depositi di Garbatella e Osteria del Curato per 208 mila euro nel 2013» e la «gestione degli asili nido aziendali nei siti Magliana, Tor Sapienza e Prenestina dal 2015 al 2018». Anche in questo caso, procedure «negoziate senza previa pubblicazione». Sulle possibili anomalie indaga anche la Corte dei Conti. Dalle verifiche dell’Autorità sembra infatti emergere come la scelta di procedere senza bandi di gara abbia fatto impennare i prezzi, provocando un danno erariale.


La voragine nei conti che tiene il Comune sull’orlo del dissesto. Nelle casse del Campidoglio un disavanzo strutturale di 550 milioni di euro ogni anno.Aiuti del governo e meno spesa per risanare Ma sono anche stati azzerati gli investimenti.

ROMA La città di Roma somiglia all’aforisma del calabrone. Raccontano che durante una cena, uno scienziato svizzero esperto di aerodinamica sostenne che il calabrone, in relazione al suo peso e alla sua struttura alare, non è in grado di volare. Ma lui, disse lo scienziato, non lo sa e vola lo stesso. Anche la Capitale, data la sua struttura del bilancio, sopravvive contro ogni legge di natura. Praticamente un miracolo. Certo, a Palazzo Chigi le amministrazioni che si sono succedute hanno sempre trovato un santo protettore, disposto a concedere soldi per salvare i conti, perché se c’è una cosa che è certa, è che nessun governo può permettersi di lasciare fallire la sua Capitale.
Che con la struttura dei conti che si ritrova Roma l’unico possibile esito fosse il dissesto (e probabilmente lo è tuttora), è ben sintetizzato nel piano di riequilibrio preparato durante la giunta Marino dall’ex assessore, ora commissario straordinario del debito pregresso, Silvia Scozzese. Nelle conclusioni di quel documento si spiega che, al netto delle evoluzioni che il bilancio può avere tra un anno e l’altro, la spesa del Campidoglio si attesta a un livello di circa 4,46 miliardi di euro.
TUTTE LE CIFRE Dentro ci sono 2,68 miliardi di spesa corrente, cui vanno aggiunti 160 milioni di oneri sottostimati, e altri 150 milioni di spesa occasionale ma ricorrente. Inoltre 1,31 miliardi per rifiuti e trasporto pubblico locale, oltre a 160 milioni di maggiori costi Atac. Siccome le entrate, si legge nel documento, sono 4,02 miliardi in media, significa che ogni anno Roma produce un “buco” di 440 milioni. In realtà, questo passivo è ancora più alto se si passa dalla spesa storica ai fabbisogni standard.
I FABBISOGNI Il concetto è semplice: quanto dovrebbe spendere Roma per fornire i suoi servizi se li pagasse quanto un’amministrazione efficiente? Il conteggio, effettuato utilizzando i dati del Copaff, la commissione tecnica per il federalismo, dice che applicando i fabbisogni standard la spesa di Roma dovrebbe essere di 3,91 miliardi l’anno. Questo significa anche che, ogni anno, i soldi che mancano in cassa al Campidoglio non sono 440 milioni, bensì 550 milioni. Per parte sua il governo ha concesso a Roma 110 milioni di contributo extra per i costi che la città deve sostenere per il suo ruolo di Capitale d’Italia (manifestazioni, polizia, Vaticano e quant’altro la sede di rappresentanza dell’Italia richiede).
Restano però pur sempre da coprire i restanti 440 milioni di euro del buco medio per portare a pareggio i conti. Soldi che Roma dovrebbe recuperare attraverso un profondo piano di revisione e di tagli alla spesa, peraltro già varato e che il commissario Francesco Tronca ha già cominciato ad attuare.
LA SPENDING REVIEW La spending review prevista è draconiana. Ci sono, per esempio, tagli di 250 milioni ai contratti di servizio delle società di trasporto locale e rifiuti. E poi: ben 21 milioni al settore sociale, 25 milioni agli affitti, 43 milioni alle utenze. In realtà, nella Capitale c’è un altro problema grande quanto una casa: non si investe da molto tempo. Data la struttura del bilancio sempre al limite del dissesto, la scelta negli anni passati è stata di azzerare quasi del tutto la spesa in conto capitale. Ma sono gli investimenti in strade, trasporti, rifiuti, a garantire la vivibilità di una città. A Milano, per esempio, il 54% delle spese totali sono per investimenti. A Roma solo il 5%. Questo comporta delle gravi anomalie. Nella Capitale, solo per fare un esempio, gli investimenti per viabilità e trasporti ammontano soltanto a 16.784 euro a chilometro; a Milano sono di 909 mila euro. Per i suoi 4.407 ettari di verde, Roma spende 248 mila euro a ettaro; Milano 443 mila euro. Tagliare gli sprechi e rimettere in ordine nei conti è un passo necessario. Ma non è sufficiente. Serve anche altro, tornare a investire.

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