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Pescara, 25/07/2024
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Data: 31/03/2016
Testata giornalistica: Il Centro
L’assegno è troppo basso? Fatti la pensione di scorta. L’Inps sta per dirvi che le pensioni saranno il 30-50% meno delll’ultimo stipendio. Per questo occorre pensare per tempo a una previdenza integrativa: ecco come

PESCARA Ci siamo. A partire da aprile arriveranno nelle case degli italiani le famose buste arancioni dell’Inps, grazie alle quali ogni lavoratore potrà conoscere in anticipo (euro più, euro meno), l’entità della propria pensione futura. Tutti gli esperti concordano nel dire che la lettura delle buste arancioni spingerà molti italiani ad aderire a un fondo pensionistico, cioè ad avviare il meccanismo per poter avere, raggiunta l’età del ritiro dal lavoro, una pensione integrativa, o di scorta. Perché, lo ha detto anche il presidente dell’Inps Tito Boeri, le sorprese non mancheranno, e non saranno buone: almeno il 60% degli italiani leggerà nelle lettere una cifra inferiore alle aspettative. Per chi avrà la pensione calcolata integralmente con il sistema contributivo, basato su ciò che ha versato lungo tutta la vita lavorativa (la cosa riguarda praticamente i nuovi assunti dal 1° gennaio 1993), il tasso di sostituzione, cioè l’assegno di pensione in percentuale all’ultimo stipendio, potrà essere al lordo anche del 50-60% (ammesso che la carriera vada avanti senza troppe scosse o vuoti contributivi). Naturalmente l’assegno cresce percentualmente se il tasso di sostituzione si calcola sul netto, visto che sull’assegno di pensione diminuiscono le trattenute contributive e fiscali. Ma per molti italiani la prospettiva è di vedere quasi dimezzato o ridotto di un terzo il proprio tenore di vita. E’ per questo che i fondi pensione stanno scaldando i motori. Per i giovani, per quelli che sono appena entrati o che entreranno presto nel mondo del lavoro, magari con stipendi non proprio altissimi, la scelta della pensione di scorta appare inevitabile. Per chi è già dentro, funziona già dal 2007 una forma di pensione integrativa che, attraverso il sistema del silenzio-assenso, destina automaticamente a un fondo pensione il proprio Tfr, cioè il trattamento di fine rapporto o liquidazione. Ma oggi qual è la situazione? Secondo il monitoraggio della Covip, la Commissione di vigilanza sui fondi pensione, alla fine del 2015 le adesioni alla previdenza complementare erano circa 7,3 milioni; con una crescita di circa 860.000 unità (13,4 per cento). «Di rilievo», scrive Covip «è stato l’incremento registrato dai fondi negoziali (530.000 iscritti in più, pari al 27,3 per cento da inizio anno)», quelli cioè che si sottoscrivono in base ad accordi o contratti collettivi o aziendali. Un incremento, rileva la Commissione, «dovuto soprattutto all’avvio del meccanismo di adesione automatica di tipo contrattuale di tutti i lavoratori dipendenti del settore edile, mediante versamento del contributo a carico del datore di lavoro». Stiamo parlando del fondo Prevedi, che con un versamento di 8-16 euro mensili da parte del datore di lavoro, permette l’adesione al fondo pensione senza alcun onere per il lavoratore, che però può decidere di aggiungere contributi propri. Nei cosiddetti fondi aperti, ai quali possono aderire tutti i lavoratori, gli iscritti sono aumentati di 93.000 unità (8,8 per cento). Gli iscritti ai PIP “nuovi” (orme pensionistiche individuali realizzate attraverso contratti di assicurazione sulla vita) sono 2,5 milioni, circa 238.000 unità in più (10,1 per cento) rispetto alla fine del 2014. I fondi muovono una massa enorme di denaro. Alla fine di dicembre 2015, il patrimonio accumulato dalle forme pensionistiche complementari, dice Covip, si è attestato su 138,4 miliardi di euro. Ma quanto rende mettere i soldi in un fondo pensione? «A fronte di un andamento altalenante dei mercati finanziari, nel corso del 2015», dice Covip, «i risultati delle forme pensionistiche complementari sono stati in media positivi per tutte le tipologie di forma pensionistica e per i rispettivi comparti. I rendimenti medi, al netto dei costi di gestione e della fiscalità, si sono attestati al 2,7 per cento nei fondi negoziali e al 3 per cento nei fondi aperti; per i PIP “nuovi” di ramo III, il rendimento medio è stato del 3,7 per cento. Nello stesso periodo il TFR si è rivalutato, al netto delle tasse, dell’1,2 per cento». Non male in un periodo di rendimenti bassi o bassissimi se non negativi.

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