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Pescara, 25/07/2024
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Data: 05/04/2016
Testata giornalistica: Il Messaggero
Il potere d’acquisto riparte dopo 8 anni. Complice un tasso di inflazione vicino allo zero, la capacità di spesa delle famiglie italiane è cresciuta dello 0,8% nel 2015 .

ROMA Dopo 8 anni il potere d’acquisto delle famiglie torna finalmente a salire: nel 2015, comunica l’Istat, è aumentato dello 0,8%. Con gli stessi soldi di fatto riusciamo a comprare più cose. È quindi un dato positivo, anche se è dovuto soprattutto all’inflazione raso zero, pari nel 2015 ad appena +0,1%, il tasso più basso dal 1959. E questo invece non è un bene, perché come da tempo ormai ci spiega la Bce di Mario Draghi, solo un tasso di inflazione vicino ad almeno il 2% è in grado di assicurare una crescita del sistema economico. Ma un passo alla volta è sempre meglio che stare fermi. E quindi è giusto prendere atto che gli italiani lo scorso anno hanno potuto usufruire di qualche soldino in più in tasca. Il reddito lordo disponibile delle famiglie consumatrici è aumentato dello 0,9%. Certo, ancora non è sufficiente a recuperare quanto perso in questi lunghi anni di crisi.
Ma qualche frutto c’è stato. A cominciare dai consumi delle famiglie. Nel 2015 - comunica l’Istat - sono aumentati dell’1%, accentuando la tendenza già registrata nel 2014 quando la crescita fu dello 0,8%. Gli investimenti fissi lordi, che poi sono essenzialmente gli acquisti di abitazioni, sono aumentati dello 0,5%. Resta invariata la propensione al risparmio (8,3%), segno che il sentimento dominante rispetto al futuro rimane la cautela, per cui meglio mantenere un gruzzoletto se la crisi dovesse riaffacciarsi.
LE IMPRESE

Non migliora invece la situazione delle imprese. Nel 2015 la quota di profitto delle società non finanziarie è lievemente diminuita, -0,1% rispetto al 2014, attestandosi al 40,6% (con un ulteriore peggioramento nel quarto trimestre tanto da scendere a 40,5%). È il valore più basso dall’inizio della rilevazione, partita nel 1995. Ne hanno risentito gli investimenti che si sono fermati al 18,4%, in caduta di 0,3 punti percentuali rispetto al 2014.
I CONTI PUBBLICI

La ripresina del 2015 ha fatto sentire i suoi effetti migliorativi anche sui conti pubblici. Le entrate fiscali sono aumentate dell’1% (l’incidenza sul Pil è del 47,9%); anche per le uscite c’è un segno più, ma di appena lo 0,1% (l’incidenza sul Pil passa così dal 51,2% del 2014 al 50,5% del 2015). Se non ci fossero state una serie di voci impreviste, si poteva anche chiudere con un taglio delle uscite. Ha influito il salvataggio delle quattro banche di fine novembre. Spiega l’Istat: «Le risorse affluite dal sistema bancario italiano al Fondo Nazionale di Risoluzione (pari a circa 2,3 miliardi di euro) sono stati registrate nell’ambito delle imposte indirette (nello specifico “altre imposte sulla produzione”), mentre i fondi trasferiti dal Fondo stesso per coprire le perdite delle banche commissariate (pari a circa 1,7 miliardi) sono stati contabilizzati all’interno delle uscite in conto capitale». La vicenda ha così influito (per i 2,3 miliardi registrati come altre imposte) anche sul dato della pressione fiscale: in calo rispetto al 2014 solo dello 0,1% (si attesta al 43,5%) e non dello 0,3% come previsto. Migliora il rapporto deficit/Pil: nel 2015 si ferma al 2,6% rispetto al 3% dell’anno prima.
Il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, alle prese con la messa a punto del Def (che dovrebbe essere varato venerdì dal governo), si dice soddisfatto del trend: «Cominciamo a domare il mostro del debito pubblico. Ha smesso di crescere e inizierà a scendere dal 2016». Una carta importante da giocare sul tavolo della richiesta di flessibilità con Bruxelles. Per quanto riguarda invece la crescita, il rallentamento dell’economia mondiale rende assai improbabile all’Italia raggiungere quell’1,6% stimato finora. Le nuove previsioni potrebbero aggirarsi intorno all’1,3-1,4%. Non ci sarà bisogno però di nessuna manovra correttiva, assicura però il viceministro dell’Economia, Enrico Morando: «L’aggiustamento sarà amministrativo». Le risorse occorrenti potrebbero venire dalla voluntary disclosure e dai risparmi sugli interessi.

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