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Pescara, 25/07/2024
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Data: 09/04/2016
Testata giornalistica: Il Centro
Panama Papers, ecco i cento nomi. L’Espresso pubblica una prima lista di italiani con conti all’estero. Gran Bretagna, Cameron in bilico

ROMA C’è anche l’ereditiere Oscar Rovelli, erede di Nino a capo nel passato del gruppo chimico Sir, nella lista dei primi 100 nomi italiani coinvolti nello scandalo Panama Papers secondo l’elenco pubblicato ieri dall’Espresso, il settimanale scelto in Italia dal consorzio internazionale che sta filtrando e pubblicando i Panama Papers. Nell’elenco oltre ai nomi vip circolati nei giorni scorsi - tra i quali Valentino Garavani, Luca Cordero di Montezemolo, Barbara D’Urso e Carlo Verdone che si sono comunque difesi, attraverso i loro legali, affermando di non aver compiuto nessun illecito - ci sono numerosi imprenditori (tra i quali Adriano Chimento, gioiellere di Vicenza) ma anche armatori (Giovanni Fagioli, Reggio Emilia), commercialisti (Gianluca Apolloni a Roma, Alessandra Faraone, Milano), manager, avvocati, immobiliaristi e editori (Valentino Villevielle e Flavio e Silvia Villevielle Bideri del gruppo Bideri), Alessandro Lelli, manager pesarese e professore all’università di Chieti e Pescara. Ma la bufera dei Panama Papers sta in queste ore squassando soprattutto la Gran Bretagna con una tempesta perfetta sul premier David Cameron. È bastato un documento scottante, fra i milioni fatti filtrare nello scandalo dei Panama Papers, a mettere nei guai il premier conservatore britannico a poco più di due mesi dall’appuntamento cruciale del referendum sul destino europeo del Regno Unito. Fino a far balenare richieste di «dimissioni», spalleggiate ieri sera pure dal leader dell’opposizione laburista Jeremy Corbyn: il “vecchio socialista” che l’establishment londinese continua a pretendere ineleggibile, ma che un ultimo sondaggio di Yougov conferma ormai più popolare dello stesso Cameron. Corbyn accusa il premier di avere «ingannato la pubblica opinione sul suo coinvolgimento in prima persona in uno schema offshore creato per eludere il fisco», mettendo in discussione «la sua personale integrità». Colpa dei segreti venuti a galla sulla società offshore costituita dal padre Ian, un facoltoso broker morto nel 2010, nel rifugio fiscale panamense. Un’attività su cui l’inquilino di Downing Street ha provato in un primo momento a glissare («questione privata», l’infelice uscita iniziale di una portavoce). Finchè, braccato da rischio di nuove rivelazioni, non ha ammesso di fronte alle telecamere di aver in realtà detenuto 5.000 quote di quel fondo e di averle vendute per «qualcosa come 30.000 sterline» prima di prendere possesso della carica di primo ministro sei anni fa. Un’operazione legale, insiste Cameron, condotta «in modo normale» nel rispetto della normativa fiscale britannica vigente. Ma senza convincere le opposizioni e tanto meno i giornali, che - dal progressista Guardian al filo-conservatore Telegraph, dai tabloid più populisti al severo Financial Times caro alla City - lo criticano senza eccezioni. E talora sparano a zero. Il problema è l’ammontare di quelle tasse da paradiso caraibico (poca roba sui dividendi, nulla sui capital gains, secondo le parole del premier medesimo). Dagli “armadi” dei Panama Papers continuno frattanto a uscire carte e nomi di ricchi, potenti e famosi del pianeta (italiani compresi, a Genova indaga la Guardia di finanza). O almeno di alcuni di loro. Tanto da spingere l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse) a convocare per il 13 aprile a Parigi un vertice delle autorità fiscali di un gran numero di paesi avanzati con l’obiettivo di trovare un accordo di collaborazione per la «condivisione d’informazioni». Mentre sulla trincea dei “sospettati” a far discutere in queste ore è la nomenklatura algerina: che ha convocato l’ambasciatore francese e negato l’ingresso a un inviato di Le Monde, incaricato di seguire ad Algeri il premier francese Manuel Valls, per il ruolo svolto dal suo giornale nella diffusione dei Papers.

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