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Pescara, 25/07/2024
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Data: 13/04/2016
Testata giornalistica: Il Messaggero
Renzi: tutti a raccogliere firme per ridurre i costi della politica. La minoranza dem prepara la resistenza e chiede la modifica della legge elettorale. Il premier fa muro e mobilita il Pd «Vedremo con chi stanno i cittadini»

ROMA Un minuto dopo il sì della Camera alla riforma costituzionale, Matteo Renzi inizia da Teheran la campagna elettorale in vista del referendum di ottobre che sancirà la fine del bicameralismo perfetto e del Senato. Che il premier non abbia null’altro in testa, lo si è compreso da un po’ e al tempo stesso è apparso subito evidente come fosse per lui inevitabile personalizzare lo scontro visto che verrebbe comunque chiamato a pagare il conto di un’eventuale sconfitta.
SISTEMAD’altra parte, malgrado la posta in gioco non sia la stessa, le opposizioni e la sinistra del Pd sono pronte ad imputare al presidente del Consiglio e segretario del Pd non solo l’eventuale successo del referendum pro-trivelle, ma anche il più che improbabile insuccesso del Pd alle amministrative di primavera. Obiettivo dichiarato della sinistra Dem è quello di avere a giugno un premier un po’ più debole, impegnato in una difficile congiuntura economica e quindi pronto a concessioni sulla legge elettorale che permettano la modifica del sistema dei capilista bloccati se non del premio di maggioranza. Renzi intende convocare una direzione del partito per discutere del referendum costituzionale, ma dal ”documentone” sfornato ieri dalla sinistra del Pd si comprende come sarà difficile tenere unito il partito su un argomento sul quale si decide il futuro di molti degli eletti che rischiano di «non tornare in Parlamento nemmeno in gita scolastica».
Nel documento i leader delle tre aeree di opposizione interna, Roberto Speranza, Gianni Cuperlo e Sergio Lo Giudice, mettono nero su bianco le loro condizioni per appoggiare il referendum contando anche sull’appoggio di qualche malpancista renziano che, temendo l’arrivo a pioggia - tra i cento capilista - di una valanga di candidature dalla società civile, possano appoggiare la modifica dell’Italicum. Renzi, dopo gli iniziali tentennamenti dovuti anche alla faticosa trattativa condotta con Forza Italia, non intende modificare alcunché della legge elettorale soprattutto il sistema del ballottaggio. Ciò che è accaduto a suo tempo in Grecia, e la crisi politica che da cinque mesi avvolge la Spagna con possibili nuove elezioni, per Renzi sgombera il campo da eventuali retromarce.
IRONIA«Pancia a terra per i comitati per il sì», sostiene il renzianissimo Marcucci, e nessun avallo a possibili comitati per il ”no” che qualcuno nel Pd intenderebbe proporre attraverso un’alchimia di contraddizioni complicate da spiegare in poche righe come queste. «Voglio vedere Zagrebelsky che fa i comitati per il no con Brunetta e Vendola con Quagliariello», ironizza da giorni il premier che intende condurre una campagna elettorale tutta incentrata sulla riduzione dei costi della politica e sull’abolizione dei ”super-stipendioni” che si otterrebbe cancellando il Cnel o facendo sparire del tutto le province.
Argomenti che possono essere tacciati di demagogia rispetto al discorso «aristotelico», come lo ha definito Pino Pisicchio, tenuto alla Camera dal premier. Ma Renzi sa che contro le riforme costituzionali non si muovono solo i partiti d’opposizione ma anche quel corposo e a volte impalpabile mondo che si nutre di politica, di cda e di consulenze e comunque di un rapporto molto stretto con l’attuale sistema istituzionale. Rivolgersi direttamente ai cittadini-elettori spiegando loro che, come sostenuto ieri dalla Boschi al Tg1, «con un po’ meno di politici avremo un sistema che funziona meglio». «Perchè - attacca il premier - come si fa a dire no al taglio dei parlamentari. Solo con l’odio verso di me».
QUORUMPer intercettare da subito l’umore degli elettori, Renzi intende proporre al Pd l’immediato avvio di una campagna di raccolta delle firme per permettere il referendum e consegnare la parola agli elettori i quali, a fine ottobre, dovrebbero confermare con un ”sì” (senza quorum) la bontà delle riforme e di fatto consegnare al premier quella piena legittimità che l’esito incerto delle amministrative di primavera potrebbero mettere in dubbio.

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