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Data: 16/04/2016
Testata giornalistica: Il Centro
Referendum trivelle del 17 aprile - Trivelle, ultimi appelli. La battaglia del quorum. La consultazione valida se si raggiunge il 50% più uno degli aventi diritto. Domani si deciderà il futuro delle concessioni alle società di estrazione

ROMA Dopo le polemiche sull’astensione degli ultimi giorni, che non solo hanno coinvolto il governo (che invita a non votare) ma anche l’ex presidente della Repubblica Giorgio Napolitano («Non andare a votare è un modo di esprimersi»), oggi è la vigilia del referendum. Tra 24 ore, infatti, si andrà a votare per eliminare o mantenere quella norma che concede di posticipare le concessioni per estrarre idrocarburi entro 12 miglia nautiche (poco più di 22 chilometri) dalla costa italiana fino all’esaurimento dei giacimenti. Il referendum, quindi, non interesserà direttamente le trivelle, intese come strutture, ma riguarderà la durata delle autorizzazioni alle società private. Le urne saranno aperte dalle 7 alle 23. La domanda. Volete voi che sia abrogato l’art. 6, comma 17, terzo periodo, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 , “Norme in materia ambientale”, come sostituito dal comma 239 dell’art. 1 della legge 28 dicembre 2015, n. 208 “Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2016)”, limitatamente alle seguenti parole: “per la durata di vita utile del giacimento, nel rispetto degli standard di sicurezza e di salvaguardia ambientale”? Questa è la domanda che troverete nella scheda. Il referendum, quindi, non riguarda nuove trivellazioni, ma la possibilità per gli impianti già esistenti di continuare a lavorare fino all’esaurimento dei giacimenti. La questione del quorum. Il nodo di qualsiasi referendum abrogativo è il quorum. Se non si riesce a raggiungere il 50% più uno degli aventi diritto, il voto popolare non è valido. Il governo Renzi, così come la maggioranza del Pd, ha invitato i circa 47 milioni di italiani a non andare a votare, una mossa simile a quella fatta dall’ex premier Bettino Craxi con il celebre «andate al mare». Anche Napolitano è finito nella polemica sull’astensione: è passato dal «faccio sempre il mio dovere» del 2011 al «non andare a votare è un modo di esprimersi sull’inconsistenza dell’iniziativa referendaria» del 2016. Cosa cambia. Se dovessero vincere i “sì”, le concessioni arriveranno alla scadenza prevista senza poter essere rinnovate ulteriormente. Secondo la legge, le autorizzazioni devono durare 30 anni ma si possono prorogare una prima volta per altri dieci, una seconda volta per cinque e una terza volta per altri cinque. Finita la concessione, le aziende possono chiedere di prorogarla fino all’esaurimento del giacimento. Se vincessero i “sì”, la prima concessione scadrebbe tra due anni, mentre l’ultima nel 2034. Nel caso in cui vincesse il “no” o non si raggiungesse il quorum, rimarrebbe in vigore la legge: gli impianti che esistono già entro questa fascia possono continuare la loro attività fino alla data di scadenza della concessione, prorogabile fino all’esaurimento del giacimento. Il rischio ambientale. Un rapporto di Greenpeace rivela che due piattaforme petrolifere su tre sporcano rilasciando in mare sostanze nocive e inquinanti. I dati sono ricavati da monitoraggi dell’Ispra, l’Istituto Superiore per la Protezione e Ricerca Ambientale. Per i sostenitori del “no”, invece, il controllo c’è e le norme di sicurezza funzionano. A monitorare la situazione ci pensa l’Ispra e altri enti come le Capitanerie di porto, le Asl, e l’Istituto nazionale di geofisica, quello di geologia e di quello di oceanografia. Le piattaforme oggi. Secondo il ministero dello Sviluppo economico, in Italia ci sono 135 piattaforme e teste di pozzo, di cui 92 si trovano entro le 12 miglia: 76 sono dell’Eni, 15 della Edison e uno dell’inglese Rockhopper. Questi impianti producono gas che soddisfa circa il 3-4% del fabbisogno italiano e circa l’1% di quello di petrolio. Per quanto riguarda le royalties, le piattaforme entro le 12 miglia hanno fatto guadagnare all’Italia circa 38 milioni nel 2015. Le energie rinnovabili. Nel 2015, secondo il gestore dei servizi energetici, le fonti alternative hanno soddisfatto il 17,3% dei consumi nazionali di energia. In questo modo l’Italia ha raggiunto in anticipo l’obiettivo fissato dall’Unione europea che chiedeva al nostro Paese di arrivare al 17% entro il 2020. La percentuale di energia verde è sempre più in aumento, basti pensare che nel 2004 la quota rinnovabile era del 6,3%. L’Europa che estrae in mare. L’Italia non è l’unico Paese europeo che estrae idrocarburi in mare. Secondo i dati del 2010 della Commissione Ue, ci sono in tutto 900 piattaforme nelle acque europee. La maggior parte si trova in Gran Bretagna (486), in Olanda (181), in Italia (153) e in Danimarca (61). Seguono Germania, Irlanda, Spagna, Grecia, Romania, Bulgaria e Polonia. Oltre agli Stati europei, ci sono anche quelli africani e asiatici che utilizzano piattaforme per estrarre gas e petrolio dal mare, come l’Egitto, la Libia, l’Algeria e Israele.

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