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Pescara, 25/07/2024
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Data: 19/04/2016
Testata giornalistica: Il Centro
Scontro Renzi-Regioni. Ricorso dei promotori sulle concessioni. Il premier: «Il popolo ha parlato»

ROMA I dati definitivi del referendum sulle trivelle indicano un’afffluenza ancora più bassa: i votanti si fermano al 31,2% con i sì che superano l’85% e i no al 15%. Ma le associazioni del Comitato per il sì non si arrendono e annunciano un ricorso al ministero dello Sviluppo economico per chiedere il blocco immediato delle cinque concessioni estrattive entro le 12 miglia. «Le concessioni sono scadute da anni. La norma prevede che siano prorogati i titoli vigenti, non quelli scaduti. Di conseguenza le aziende petrolifere stanno continuando ad estrarre senza autorizzazione» spiega l’estensore dei quesiti referendari, Enzo Di Salvatore, nel corso di una conferenza stampa che gli consente di rendere anche noto che l’europarlamentare Barbara Spinelli ha presentato una interrogazione alla Commissione Europea chiedendo se non ritenga di aprire una procedura di infrazione per violazione delle regole sulla concorrenza in merito alla estensione delle concessioni. Domenica il quorum è stato raggiunto in una sola delle venti regioni d’Italia: nella Basilicata (50,32%), epicentro dell’inchiesta petrolifera. Invece la Puglia si è fermata al 41 per cento. Quel che è certo è che il giorno dopo tutti cantano vittoria. Esulta Matteo Renzi, che invita a finirla con le polemiche: «Io sono convinto che la consultazione sulle trivelle sia finita. Il popolo italiano ha parlato. È finita 70 a 30. Leggo che chi ha perso spiega che ha vinto ma adesso è ora di impegnarsi a tenere il mare pulito, magari occupandoci dei depuratori, cosa che dovrebbero fare le Regioni». Ma si dicono soddisfatti anche i sostenitori del comitato per il sì per aver «acceso un riflettore sulle lobby del petrolio in Italia e sulle scelte energetiche del Paese». A gioire sono anche le opposizioni che mettono in cassa 14 milioni di votanti che potrebbero fare la differenza al prossimo referendum sulle riforme. Per ora, a puntare i piedi è soprattutto il presidente della regione Puglia, Michele Emiliano, che ha guidato la pattuglia di amministratori ribelli nel Pd e non intende deporre le armi. «Abbiamo stravinto con milioni di sì. E chiacchiere non ce ne vogliono» taglia corto il governatore pugliese che denuncia «un difetto di democrazia» e in una intervista a La Stampa rilancia: «I 14 milioni di elettori sono più dei voti presi dal Pd alle Europee. Renzi impari a rispettare chi come me è stato eletto dal popolo». Ce n’è quanto basta per immaginare che le polemiche durino ancora a lungo. Matteo Salvini è lapidario: «Vince l’arroganza». Il vicepresidente della Camera, Luigi Di Maio, invece minimizza: «Il referendum di ieri è diventato l’ennesimo terreno di scontro tra bande del Pd e quando i cittadini lo hanno capito lo hanno snobbato». Al coro si aggiunge Renato Brunetta (Fi): «Abbiamo uno zoccolo duro di quasi 16 milioni di cittadini, tutti potenziali voti contro Renzi». Ma i distinguo arrivano anche dalla minoranza Pd. «Oltre 16 milioni di italiani hanno votato al referendum e vanno ascoltati» attacca Roberto Speranza, che si dice «molto soddisfatto» del quorum in Basilicata. «I 15 milioni di elettori meritano il rispetto del Pd e del governo» aggiunge Gianni Cuperlo. Resta il fatto che il risultato del referendum ha premiato la linea dell’astensione. Il governo è a rischio spallata? Oggi in Senato si voteranno le mozioni di sfiducia presentate da M5S e Fi-Lega. Le opposizioni sono pronte a dare battaglia ma la maggioranza, che mette nel conto il voto dei verdiniani, è tranquilla sulla sua tenuta.

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