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Pescara, 25/07/2024
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Data: 22/04/2016
Testata giornalistica: Il Messaggero
Verso le amministrative - Forza Italia nel caos conferma Bertolaso Meloni in campo: io non aspetto più. L’ufficio di presidenza ci ripensa e boccia la leader FdI: mai con i lepenisti. Ma Giorgia e Salvini: andare da soli ci conviene. E Guido disse: Berlusconi mi ha chiesto il grande sacrificio di andare avanti

ROMA A cercare di riaprire i giochi su Roma ci ha provato nella tarda serata Confalonieri che ha chiamato al telefono Berlusconi, consigliandogli di andare su Marchini. Una scelta che non dispiacerebbe anche ad altri esponenti azzurri del partito. Ma Forza Italia è sempre più spaccata: ieri è andato in scena un vero e proprio psicodramma, con momenti di tensione e di aspri duelli a un soffio dallo scontro fisico, come quello tra Tajani e Romani. Il primo, ricordando che la Lega non è nel Ppe, sostiene che non si possa convergere sulla Meloni e i filo-lepenisti. Sulla stessa lunghezza d’onda il cerchio magico: da Francesca Pascale a Maria Rosaria Rossi. E così, dopo che 24 ore prima si era aperto più che uno spiraglio sulla possibilità di una candidatura unica, nel centrodestra torna il caos.
«Noi non aspettiamo nessuno, andiamo avanti da soli», taglia corto l’ex vicepresidente della Camera aprendo la campagna elettorale al Pincio. «Berlusconi è mal consigliato», gli fa sponda Salvini. I due non hanno avuto alcun contatto telefonico con l’ex premier. L’ufficio di presidenza di FI ha dato mandato al Cavaliere di trattare con tutti, ma al momento è calato il gelo tra i tre leader del centrodestra. I pontieri stanno lavorando ad un incontro nella giornata di oggi ma in Fratelli d’Italia e nel Carroccio non c’è alcuna intenzione di scendere a patti con gli azzurri. Anzi. Secondo i sondaggi in mano ai due partiti il soccorso di FI potrebbe anche non essere necessario. «Possiamo arrivare al ballottaggio da soli – spiega una fonte vicina alla Meloni – e a quel punto dovrà essere FI a venire da noi, non avrebbe alternativa».
IL LISTONE
Il Cavaliere ha cercato di rilanciare, sia con l'idea della federazione del centrodestra che con l’eventualità di un listone unico. Trovando però un muro insormontabile. Ma l’ex premier vuole soprattutto che arrivi un riconoscimento chiaro sul suo ruolo di federatore. Che da parte della Meloni e di Salvini ci sia un attestato che a guidare la coalizione è sempre lui. «Il fatto è che non hanno neanche rispetto per la storia del centrodestra», si è sfogato, definendo di nuovo i due – lo aveva già fatto alcune settimane fa – dei «ragazzotti impertinenti che vogliono farmi fuori».
Ma ieri, durante l’ufficio di presidenza di Fi, è emerso l’orgoglio di chi non si riconosce nell’abbraccio con la destra. Non la pensano così Toti e Romani, i due big che si sono spesi, maggiormente, al pari di Matteoli, per ricomporre il quadro del centrodestra. Del resto FI e Lega governano insieme Liguria e Lombardia e il nodo Roma non solo blocca le altre candidature sul territorio ma rischia di mandare in frantumi l’esperienza comune nelle regioni del nord. C’è chi a questo punto sostiene che dopo le amministrative una parte del partito possa prendere strade diverse, ma il Cavaliere non vuole alcuna scissione. Ecco perche’ ha confidato che ancora cercherà di ricucire la tela.
Ieri la riunione avrebbe dovuto concludersi con un documento unitario, una mano tesa agli alleati, un invito ad azzerare tutto e ripartire daccapo. Ma sono stati proprio i fedelissimi dell’ex premier a stoppare ogni tentativo di mediazione.
«La Meloni – sono insorti in tanti – aveva pronti i cartelloni pubblicitari già da diversi mesi, lei e Salvini ti hanno teso un tranello, se dici di sì dovrai cedere anche in futuro». A palazzo Grazioli si sono succeduti vertici per tutta la giornata. Incontri per non decidere, però, tanto che Storace che pure era disponibile a convergere sulla Meloni parla ormai di «partita a perdere». «Qui – si è sfogato anche Salvini con i suoi – sono tutti matti. Mi avevano detto che la partita era chiusa ma con Berlusconi non ci si può più fidare».

E Guido disse: Berlusconi mi ha chiesto il grande sacrificio di andare avanti

ROMA Nemmeno questa è la giornata in cui in Forza Italia fanno la fila per farsi vedere al suo fianco. E allora ci pensa Gianfranco Rotondi, leader di Rivoluzione cristiana, a ricordare a Bertolaso che «caro Guido, il nostro appoggio non era poi scontato, perché a Milano non sosteniamo Parisi, per dire». Insomma, è proprio la giornata fortunata per l’ex capo della Protezione civile. Sono le 16.30, la conferenza stampa alla Camera è iniziata con un bel po’ di ritardo. Tutti ad aspettare «Mister emergenza», trattenuto a Palazzo Grazioli. «Oggi mi sono concesso un pranzo con Berlusconi - dice appena arriva - dopo giorni di digiuno per la campagna elettorale».
IL CLIMAL’atmosfera è surreale. Prima c’era stato un toto scommesse. Commenti sparsi di parlamentari curiosi. «Non arriverà». «Macché, Berlusconi non molla». «Sì, nel senso che non lo lascia più andare». Alla fine, ecco «lo sposo», come lo chiama Rotondi. Che con perfidia liftata da vecchio diccì lo saluta così: «Ci sono piaciute tutte le tue gaffe, anche io ho una moglie che ha sempre votato Meloni». Bertolaso è quasi sorridente. O sa dissimulare bene o è un inguaribile ottimista. «Ma non un kamikaze», specifica. Rivoluzione cristiana lo appoggerà con una lista, questa sarebbe la notizia iniziale. Segue il regalo di una vignetta: il candidato azzurro e una strada piena di buche che lo divide dal Campidoglio. Bertolaso, prima di dire quello che tutti gli vogliono chiedere, ricorda che è cresciuto tra Andreotti e Andreatta, che si sente un democristiano anche lui. Ma attenzione non è un politico: «Ho tre medaglie d’oro al valore civile, lauree honoris causa, cittadinanze onorarie in tutto il mondo». Si sta scaricando, eccolo. E quindi prima punzecchia Salvini: «Sono contento che dopo aver passeggiato per Roma si sia accorto dei problemi della città». Poi arriva la roba seria: «Berlusconi - spiega Bertolaso che intanto si è fatto dare una bottiglia d’acqua - mi ha chiesto il grande sacrificio di andare avanti». Avanti? «Sì, nessun ripensamento, nessuno mi ha chiesto di fermarmi. Chi può mettere in dubbio le mie capacità gestionali?».
La risposta arriva dall’ultima banco della sala. «Il problema sono le tue capacità politiche, infatti», dice Ignazio La Russa. E forse la voce inconfondibile del colonnello di Giorgia Meloni arriva al diretto interessato. Che se ne infischia e va avanti: «I problemi non sono i sondaggi ma l’immondizia. Berlusconi ha avuto il mandato da Forza Italia di convergere su di me». La commedia è spassosa, perché di tanto in tanto si sente la voce di La Russa, tonante come sempre: «Ma solo con Rotondi dove pensa di andare?».
LA RISPOSTABertolaso, nel suo discorso breve ma intenso per le agenzie stampa che sparano lanci avide di «non mollo», continua a dire: «La Meloni inaugura la campagna al Pincio? Bello. Io lo farò a Tor Sapienza». In compenso il «dottor Guido», forse per far arrabbiare ancora di più gli (ex?) alleati apre a Marchini: «Possibile una convergenza. Io suo vice? No, c’è chi nasce numero uno». Fine della conferenza stampa. La Russa si sfoga: «Questo è meglio di un film di fantascienza, diciamolo». Il candidato si sposta nella saletta a fianco dove si confezionano le interviste per le televisioni, quella con lo sfondo fisso del transatlantico. «No, qui no: non voglio questo sfondo, non sono un politico». I cameraman lo assecondano. Stesso copione. Con un’aggiunta: «Ci sarà il mio nome nella scheda elettorale». Verso le 17 finisce tutto. Bertolaso ha ancora in mano la bottiglia d’acqua, se ne va con il suo staff (due persone). Esce da piazza Montecitorio. Chiede ai collaboratori: «Come sono andato? Ho fatto gaffe?».

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