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Pescara, 25/07/2024
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Data: 23/04/2016
Testata giornalistica: Corriere della Sera
L’irritazione di Renzi: Davigo chi? I timori di una crociata anti-governo. Le parole pronunciate dal presidente dell’Anm giudicate dal premier come la formalizzazione di un conflitto

Le parole pronunciate dal presidente dell’Anm, quell’atto d’accusa alla politica così generico da far capire chi fosse nel centro del mirino, rappresentano — secondo il premier — «l’inizio di una crociata», o meglio la formalizzazione del conflitto che un pezzo di magistratura, forze politiche e poteri più o meno indeboliti avevano da tempo programmato contro Palazzo Chigi. Ai suoi occhi è come se Davigo avesse precostituito una sorta di comitato referendario per il no alle riforme: quella della giustizia, che è al vaglio del Parlamento, e quella costituzionale, che sarà al vaglio del Paese.
Il premier vuole capire quale sarà la reazione del corpo togato
C’è più di un motivo se Renzi non ha reagito. Intanto non ha inteso offrire la patente di interlocutore istituzionale a un rappresentante sindacale, inoltre vuole capire quale sarà la reazione del corpo togato, dove già si segnalano stupore e malumore diffuso. Eppoi spettava formalmente ad altri dare risposta. La dichiarazione del vicepresidente del Csm, la sua denuncia contro chi «alimenta il conflitto tra istituzioni», ha dato infatti voce — senza esporlo — anche al presidente della Repubblica, che è presidente del Csm e con il quale Legnini si è consultato prima di mettere a distanza Davigo. Era da giorni peraltro che le due cariche dello Stato incrociavano opinioni preoccupate e la clamorosa sortita del presidente dell’Anm ha dato corpo a quei timori: perché un conto è proporsi come sindacalista delle toghe, altra cosa è esporsi da oppositore del governo.
Un nuovo bipolarismo giudiziario
E non c’è dubbio che lo scontro abbia una valenza politica. Le reazioni del Palazzo hanno tracciato il solco di un nuovo bipolarismo giudiziario, con un fronte che tiene insieme i Cinquestelle e quel pezzo di sinistra orfana della stagione dipietrista, e un fronte che raccoglie (quasi) tutto il Pd e (quasi) tutto il centrodestra. È vero, questa mappa che divide neo-giustizialisti da neogarantisti non ricalca gli schieramenti che si contrapporranno al referendum sulla riforma costituzionale. Ma è altrettanto vero che la sfida per il primato della politica accomuna gli epigoni della Seconda Repubblica. E non solo.
La «crociata» di Renzi
Quando Renzi pochi giorni fa al Senato ha condannato i «venticinque anni di barbarie giudiziarie», è tornato scientemente indietro con le lancette della storia fino alla Prima Repubblica, seppellita da Mani Pulite. La «crociata» per il premier era di fatto già iniziata, lo si intuiva dagli umori che lasciava filtrare, dai ragionamenti sull’accerchiamento e sul complotto ai danni del governo. E siccome il Palazzo — denudato dalle inchieste e delegittimato dal malaffare — non ha l’autorità morale per imporsi, Renzi ha introdotto un nuovo schema d’ingaggio con la magistratura: regole garantiste dentro il corso naturale della giustizia.
Avanti con la riforma delle intercettazioni
Un modo per far capire che sarebbe andato avanti con la riforma delle intercettazioni, respingendo la tesi di chi — nella sua stessa maggioranza — sosteneva che «avremmo dovuto fare prima, Matteo», dato che il caso Etruria e l’indagine di Potenza stavano esponendo il premier all’accusa del conflitto d’interessi. «Invece no», era stata la risposta di Renzi: «Arriveremo comunque all’obiettivo senza offrire il pretesto che per noi fosse una priorità». Una valutazione che aveva trovato conforto in Napolitano, convinto della necessità di rivedere le norme sulla pubblicazione degli atti giudiziari fin dai tempi del governo Berlusconi, se è vero che l’ex capo dello Stato non avrebbe perdonato al Cavaliere l’occasione persa quando la seconda versione della riforma — scritta dall’allora Guardasigilli Alfano e frutto di una mediazione con il consigliere giuridico del Colle, D’Ambrosio — venne cestinata dal leader del centrodestra.
Renzi non ha mai ricevuto la struttura di rappresentanza dei magistrati
Altri tempi, ma stesse storie tese con la magistratura e la sua struttura di rappresentanza, che Renzi non ha mai ricevuto manco fosse la Cgil, e contro la quale — appena arrivato a palazzo Chigi — aveva attivato meccanismi anti-casta con la polemica sugli stipendi e sulle ferie delle toghe. Ma gli eventi e gli affanni di governo avevano di recente invertito la tendenza, e la spinta rottamatrice sembrava esaurita. Fino all’avvento di Davigo all’Anm, dicono ora i renziani di stretta osservanza, secondo i quali la decisione dei magistrati di aggrapparsi a un simbolo degli anni Novanta, è stata valutata in controtendenza rispetto al rinnovamento generazionale in atto dappertutto, ed è stata giudicata come una scelta di retroguardia.
Per Renzi la sortita di Davigo è nello schema del nuovo contro il vecchio
Perciò la sortita di giovedì di Davigo non ha stupito il capo del governo, che ha accolto quelle parole come fossero un assist, in coerenza con il suo schema narrativo: il nuovo contro il vecchio. Anche se in un Paese attraversato ancora da una crisi economica e morale che sembra ricalcare una stagione del passato, non è ancora chiaro come finirà «la crociata». Lo si capirà con il referendum sulle riforme costituzionali.

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