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Pescara, 25/07/2024
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Data: 23/04/2016
Testata giornalistica: Il Messaggero
Attacchi ai politici il Csm gela Davigo «Non alimenti inutili conflitti». L’ira di Renzi: un folle nostalgico Ma non vuole scendere in guerra

Le accuse del magistrato: delinquono più dei ladri, il premier vuole zittirci. Dura replica di Legnini. Il Pd: una provocazione.

ROMA Con un’intervista al Corriere e una Lectio magistralis all’Università di Pisa Piercamillo Davigo terremota il già accidentato terreno dei rapporti tra politica e magistratura. Nei confronti della prima il neo presidente dell’Anm e storico pm di Mani pulite afferma che «i politici rubano più di prima, solo che oggi hanno smesso di vergognarsi». Quanto al governo, Davigo sostiene che «Renzi fa le stesse cose dei suoi predecessori» e che la sinistra «ha fermato la lotta alla corruzione con più destrezza della destra».
Prevedibili le reazioni di un mondo politico che rifiuta il metodo davighiano di «fare di tutta l’erba un fascio». Con l’eccezione di una parte dell’opposizione, soprattutto i 5 Stelle ma anche la Lega e Fratelli d’Italia, che applaudono l’intervento dell’ex pm che voleva «rivoltare l’Italia come un calzino». Ma la voce più significativa e autorevole levatasi contro Davigo è quella del vicepresidente del Csm Giovanni Legnini. Che, riecheggiando critiche sollevate da più di un collega dello stesso capo della rappresentanza sindacale delle toghe, ha seccamente affermato che le sue parole «rischiano di alimentare un conflitto di cui la magistratura e il Paese non hanno alcun bisogno, tanto più nella difficile fase che viviamo nella quale si sta tentando di ottenere, con il dialogo e il confronto a volte anche critico, riforme, personale e mezzi per vincere la battaglia di una giustizia efficiente e rigorosa, a partire dalla lotta alla corruzione e al malaffare».
INDIGNAZIONE
Indignazione nel Pd, partito che più degli altri è sembrato essere nel mirino del presidente dei magistrati. E nonostante il tacito invito a non «cadere nella provocazione», più di un esponente dem è insorto contro le «inaccettabili accuse» di Davigo. La presidente della commissione Giustizia della Camera, Donatella Ferrante, magistrato fuori ruolo a sua volta, ha detto di conoscere, avendolo sentito nei convegni, il pensiero di Davigo, ma - ha osservato - «che queste riflessioni le faccia da presidente dell’Anm è grave, perché è un atteggiamento di scontro fine a se stesso e di pregiudizio verso un’intera classe». Quello che però lascia «più attonita» l’esponente del Pd è proprio questo «pregiudizio diffuso e generalizzato verso tutta la classe politica che contrasta con il ruolo di magistrato che dovrebbe giudicare caso per caso». Davigo, infatti, rileva la Ferrante, «continua a fare il giudice della Cassazione ed emette sentenza. Come può farlo con questo pregiudizio?». Anche il responsabile Giustizia della segreteria del Nazareno David Ermini rigetta le tesi di Davigo affermando che le sue parole «fanno paura ai magistrati. Cerca la rissa ma non la troverà. I giudici - dice Ermini rilanciando una frase ripetuta spesso da Renzi - parlino con le sentenze, noi rispettiamo il loro lavoro».
La dichiarazione di Ermini innesca la replica dello stesso Davigo che da Pisa ribatte: «Dire che i magistrati devono parlare solo con le sentenze equivale a dire che devono stare zitti». Nella sua Lectio l’ex pm ribadisce suoi noti concetti come quello di «meccanismi premiali per chi denuncia la corruzione» e l’opportunità di «operazioni sotto copertura», mandare cioè poliziotti a offrire danaro a politici per arrestarli se lo accettano. La conclusione è che «la classe dirigente di questo Paese quando delinque fa un numero di vittime incomparabilmente più elevato di qualunque delinquente da strada».
Opinioni rigettate da un vasto schieramento di forze. Oltre al Pd,FI, Ncd e Ap, mentre «solidarietà a Davigo» viene espressa del grillino Luigi Di Maio, che polemizza con il Pd che «invece di fare pulizia in casa propria, attacca un magistrato che nessun cittadino potrebbe smentire». Un comunicato del gruppo M5S del Senato afferma inoltre che le «operazioni sotto copertura» proposte da Davigo erano già in una Pdl pentastellata presentata 3 anni fa a palazzo Madama. Ad attaccare il Pd è anche il fuoruscito Alfredo D’Attorre sostenendo che il suo ex partito usa contro i magistrati «gli stessi argomenti del centrodestra». Da parte sua il leader della Lega Salvini ha annunciato che incontrerà Davigo nei prossimi giorni.

L’ira di Renzi: un folle nostalgico Ma non vuole scendere in guerra

ROMA «Affermazioni folli di un nostalgico». L’intervista di Piercamillo Davigo al Corriere l’ha letta - grazie al fuso orario - poco prima della cena con Michael Bloomberg, ex sindaco di New York. Le esternazioni del presidente dell’Anm hanno mandato su tutte le furie il presidente del Consiglio da due giorni impegnato nel palazzo di Vetro delle Nazioni Unite. Un giro di telefonate e qualche sms per concordare la reazione del Pd contro le affermazioni del leader del sindacato dei magistrati e poi la consegna del silenzio concordata con tutto il governo.
VISTO
Renzi intende lasciare Davigo da solo sul ring senza volergli concedere il rango di istituzione all’Anm che non ha. «E’ un leader sindacale, per giunta pure a tempo. Non vedo perché si debba dare enfasi a dichiarazioni che non piacciono neppure ai suoi associati», sostiene un sottosegretario del governo. Meglio, quindi, lasciare al Csm il compito di riprendere un suo magistrato. Il vicepresidente Giovanni Legnini lo fa con un lungo comunicato ovviamente vistato dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella che del Csm ne è il presidente. A quelle che definisce in privato «vere e proprie provocazioni», Renzi non intende replicare ufficialmente come invece avrebbe fatto un suo predecessore a palazzo Chigi. Le continue citazioni che Davigo fa del ’92 e di Mani Pulite confermano per il premier la voglia strumentale di Davigo di rinverdire i fasti di una stagione che non c’è più. E non solo perché la politica è oggettivamente più debole ed un sottosegretario di oggi o un presidente di commissione contano molto meno dei loro predecessori della prima Repubblica, ma anche per una generalizzazione che ha come unico scopo di alimentare l’antipolitica. Ed infatti leghisti e pentastellati sono gli unici a sostenere colui che afferma che i politici sono tutti ladri. Ad irritare il premier è anche l’affondo contro Raffaele Cantone e l’authority anti corruzione e non tenere in alcun conto le leggi fatte in questi tre anni proprio «per battere la corruzione come la legge sul voto di scambio, sul falso in bilancio e l’autoriciclaggio». Una delegittimazione della politica e dei partiti, quella di Davigo, che ovviamente si scontra con la volontà di Renzi di dimostrare il primato della politica e degli stessi partiti cambiati anche grazie al lavoro dei magistrati, che comunque «devono parlare per sentenze».
FERIE
Sui rischi che corre un sindacato, qual è l’Anm, che si consegna ai grillini, il presidente del Consiglio non intende entrare anche se è ben consapevole che la categoria tutta non ha ancora digerito il taglio delle ferie ridotte da 45 a 30 giorni proprio dall’attuale governo e il reiterato invito alle toghe «a lavorare di più» e a «parlare con le sentenze». Al dialogo con la magistratura il premier non intende comunque rinunciare malgrado Davigo stia cercando di fare terra bruciata e di rafforzare la sua posizione all’interno di un sindacato dilaniato dalle correnti molto più del Pd o del centrodestra berlusconiano. Nella trappola del conflitto, che per vent’anni ha bloccato il Paese, Renzi evita di infilarsi e resta fedele alla linea della separazione dei poteri necessaria per poter rivendicare al Parlamento il compito di fare le leggi che i magistrati debbono applicare. Le resistenze interne non mancano. Basti vedere come al Senato arranca la riforma del processo penale anche per la volontà di uno dei due relatori, l’ex magistrato Casson, di riscrivere nuovamente il testo. Alle resistenze di una parte di ceto politico e giudiziario, Renzi e il Guardasigilli Orlando sono abituati. Così come ai tentativi di alcune procure - vedi Tempa Rossa - di avviare inchieste con lo scopo - secondo il premier - di condizionare le scelte della politica.

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