Iscriviti OnLine
 

Pescara, 25/07/2024
Visitatore n. 738.579



Data: 28/04/2016
Testata giornalistica: Il Centro
Pensioni, le tre ipotesi per anticiparle. Allo studio penalizzazioni graduate e prestiti previdenziali garantiti da Stato, Inps, banche. Costo sotto il miliardo

ROMA Il pacchetto di interventi nero su bianco entro maggio, la riforma nella legge di Stabilità in autunno e il via libera all’operazione dal 2017. Sulla flessibilità previdenziale in uscita Palazzo Chigi prepara una guerra lampo. Il piano di battaglia che il governo ha in mente per smuovere le acque di un mercato del lavoro fermo (nonostante le speranze collegate al decollo del jobs act) e per favorire un robusto turn-over generazionale è pronto. E costa appena un miliardo di euro. La stima l’ha fatta il Tesoro che ha accantonato la sanguinosa pista dell’intervento pubblico puro: vale oltre 8 miliardi. Uno sproposito. La flessibilità in uscita si farà, ma interverranno pesantemente sia le banche (attirate da prestiti garantiti) che le aziende eventualmente interessate a lasciare a casa prima del tempo forze lavoro giudicate ormai residuali nel ciclo produttivo. La strategia del premier Matteo Renzi è calibrata su tre tipologie tagliate su misura per altrettante situazioni. La prima tipologia, ha esemplificato ieri il sottosegretario Nannicini, è quella delle persone che hanno una preferenza ad andare in pensione prima, ad esempio la nonna dipendente pubblica che vuole accudire i nipotini. Ebbene potrà farlo, a patto di trovarsi a non più di 3-4 anni di distanza dai requisiti previdenziali, accettando un taglio dell’assegno di circa 3 punti per ogni anno che manca al traguardo legislativo della pensione. C’è poi il caso di chi ha necessità di andare in pensione anticipatamente, in quanto ha perso il lavoro, fa fatica a trovarne un altro e non ha ancora maturato i requisiti d’uscita. In questa circostanza, l’idea che prende corpo è quella del prestito previdenziale. In poche parole l’interessato chiede alla banca i soldi che servono per coprire i contributi che ancora mancano e come garanzia mette il Tfr se non addirittura la pensione futura. Comincia ad incassare da subito un assegno ridotto (pagato dall’Inps) intorno a 8-900 euro e quando i requisiti previdenziali sono finalmente maturi restituisce il prestito alla banca e comincia a godersi la pensione piena senza decurtazione. La terza categoria sono i lavoratori che l’azienda vuole mandare in pensione prima per ristrutturare l’organico aziendale. In questo caso, ha anticipato Nannicini, sono le aziende a coprire i costi dell’anticipo. In sintesi non sarebbe lo Stato a versare la pensione prima del tempo, ma si limiterebbe a coprire una parte dei costi con un’assicurazione a garanzia del rischio morte. Non a caso, proprio ieri la Camera ha approvato una risoluzione che, in tema di pensioni, impegna il governo «a introdurre elementi di flessibilità in uscita seppur con ragionevoli penalizzazioni, nonché interventi, anche selettivi, in particolare nei casi di disoccupazione involontaria e di lavori usuranti». Mentre il presidente della commissione Lavoro Damiano ha garantito che «non si tratta di gettare a mare il sistema del governo Monti ma di fare alcune correzioni», sul fronte sindacale, l’ipotesi del prestito pensionistico («un bene, scaricare sul bilancio dello Stato miliardi di maggiori oneri sarebbe irresponsabile» ha osservato il viceministro dell’Economia Zanetti) continua però a far storcere il naso. «Trovo sia una follia: se uno per 40 anni o 41 ha versato dei contributi che prestito dovrebbe fare? Ha già prestato abbastanza soldi lui» ha protestato il segretario della Fiom Maurizio Landini. Mentre il segretario della Cisl Annamaria Furlan ha fatto notare che «la legge Fornero ha portato alle casse dello Stato 80 miliardi di euro. È possibile che una parte di questa cassa venga utilizzata per la riforma del sistema previdenziale?».

www.filtabruzzo.it ~ cgil@filtabruzzo.it