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Data: 20/05/2016
Testata giornalistica: Il Centro
Addio Marco - Pannella, una vita in trincea per i diritti. Scompare il leader radicale. Dalla lotta per l’aborto a quella sul divorzio passando per digiuni e proteste choc

Istrione, visionario, narciso, ma movimentista trascinante, laico fino al midollo, parlamentarista, riformatore in senso moderno del costume italiano. Marco Pannella rimane nella storia del ’900 come un liberale di alta levatura, al quale si deve in larga misura se il divorzio e l’aborto sono entrati, nonostante l’opposizione del Vaticano e di gran parte della Dc, nella nostra legislazione. Confermati poi dal NO ai due referendum abrogativi voluti dai clericali. Giacinto Pannella detto Marco, nato a Teramo, romano dalla prima giovinezza, se ne va dopo oltre 65 anni di battaglie in cui ha scritto «da leader senza esercito l’autobiografia della nazione», come notò anni fa Edmondo Berselli. Leader che però aveva capito prima di tutti il valore eccitante, dopante della comunicazione, della tv in specie, caricata coi fuochi di artificio di invenzioni a volte drammatiche, altre sarcastiche, con lui imbavagliato o ghignante. La sua storia - come quella di altri amici per la vita - inizia in area studentesca e liberale alla fine degli anni ’40. Nel 1950, anno santo di papa Pacelli, è già a Roma nel laboratorio del “Mondo” di Mario Pannunzio, fra maestri come Ernesto Rossi, Antonio Cederna o Mino Maccari. Marco è un bel ragazzo, alto, dal grande sorriso, dall’oratoria seducente. Arriva presto ai vertici della più grande e laica scuola politica di quell’Italia semirurale e bigotta: l’Unione Goliardica Italiana (Ugi) dove sarà presidente, dirigente, sollecitatore per oltre un decennio. Partecipa al primo Partito Radicale che però entra già in crisi nel ’58 alle politiche dove si presenta con un Pri in cui la destra di Randolfo Pacciardi bilancia la sinistra di Ugo La Malfa. Tonfo senza scusanti: appena un deputato per il Pr, Bruno Villabruna. Ricordo Marco orchestrare da Pavia, all’Hotel Croce Bianca, la campagna elettorale di Niccolò Carandini vestendo come il suo leader ottimi abiti fumo di Londra, con panciotto. Più avanti sarà l’uomo più casual d’Italia. Pannella è convinto che in Italia vi sia lo spazio per un partito di tipo nuovo, movimentista, imprevedibile, fortemente laico. Sono con lui i vecchi amici dell’Ugi, Sergio Stanzani, Franco Roccella, Lino Jannuzzi, Gianfranco Spadaccia, con alcune donne come Adele Faccio ex partigiana. Parte la grande avventura dei diritti civili, comincia la campagna per il divorzio. L’hanno avviata un socialista eretico, Loris Fortuna, un liberale anomalo, Antonio Baslini e uno dei primi radicali, Mauro Mellini. Li ha lanciati un settimanale che impasta grande politica e foto osée, ABC, fondato dall’ex direttore del “Giorno” Gaetano Baldacci. Incredibilmente la legge Fortuna-Baslini va in porto in Parlamento nel 1970. Ma su di essa cala la minaccia del referendum abrogativo clericale. Sarà però un trionfo del NO, con l’intero fronte laico schierato, anche il Pci che pure teme sempre di turbare la “pace religiosa”. A Roma è un plebiscito. Marco si batte per un fronte politico laici-sinistre, ma incontra l’ostilità dei partiti, del Pci in specie che mira al compromesso storico con la Dc. Lo schieramento laico regge per la legge sull’aborto e contro il referendum abrogativo, nonché per il nuovo diritto di famiglia che finalmente riconosce la parità uomo-donna. Negli anni del terrorismo Pannella si spende in un garantismo “scandaloso” e contagioso, comunque coraggioso. Propugna pure con successo, nel 1980, una politica anticipatrice di generosi aiuti all’Africa affamata. Un po’ blandisce e un po’ aggredisce i partiti, anzi la partitocrazia, “ricattandoli” psicologicamente coi digiuni. Guida tuttavia, nella generale evoluzione dei costumi (favorita, certo, anche dal ’68), l’onda lunga nella quale coniugare diritti civili e liberazione della donna, con presenze radicali importanti in Parlamento, da Emma Bonino ad Adelaide Aglietta. È il suo momento migliore. La decadenza comincia col ’94 quando, sfarinatosi il Psi alla cui testa Marco si era invano proposto quale leader laico-socialista, stringe un accordo “liberale” con Berlusconi: fondi per Radio Radicale e un gruppo di parlamentari. Per D’Alema è «un guitto, un caso doloroso». Per Luciana Castellina «un voltagabbana nato». Alcuni dei suoi si allontanano. Altri se li “mangia”, come Crono. Fa e disfa, poi si reinventa, risorge, con vecchie e nuove battaglie per la liberalizzazione dell’erba, contro l’ergastolo, contro un regime carcerario solo punitivo. L’ho scorto poco tempo fa al Pantheon passare su una piccola auto dalla quale si sporgeva col suo sorriso da mago visionario, quasi benedicendo gli astanti. Lo ricordo quando comparve dall’alto del Palazzone al congresso del Pci, nell’83, dopo aver pubblicato un esplosivo dossier contro l’attentato gappista di via Rasella e la folla dei delegati si alzò come un’onda contro di lui. Il giorno dopo tutti i giornali parlavano di Marco avvolto in un mantello nero «come il principe di Nosferatu». In realtà portava il suo solito loden blu. «Dillo tu, Vittorio, che eri lì». Annuii sorridendo. Pochi giorni dopo cominciò ad attaccarmi a sangue.

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