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Data: 14/06/2016
Testata giornalistica: Il Messaggero
Verso i ballottaggi - Addio agli apparentamenti, l'elettore non segue i partiti

ROMA Addio apparentamenti, nelle gradi città che vanno al ballottaggio si dice addio all'apparentamento. La pratica prevista dalla legge elettorale che ha rivoluzionato il voto nei comuni e che è stata largamente utilizzata negli anni passati si può dire ufficialmente archiviata. A parte piccoli casi, con il tripolarismo e la perdita di credibilità della politica dell'inciucio e dei caminetti, il voto diventa fluido.
NESSUN RISCHIO
L'elettore che ha votato nel primo turno un candidato, che non è arrivato al secondo turno, non è detto che segua l'indicazione del suo leader al ballottaggio. E allora, meglio non rischiare. Così i candidati sindaci hanno capito che chi li deve votare li voterà comunque e indipendentemente dall'indicazione del candidato che ha votato al primo turno e chi non li voterà, non lo farà anche se c'è un accordo o un'indicazione del suo leader o del partito che ha votato al primo turno. Allora meglio non firmare cambiali in bianco o fare accordi che lasciano poi un prezzo da pagare più alto del reale apporto dell'endorsement politico. Così, a parte piccoli e limitati casi a Bologna e a Milano, tutti gli aspiranti sindaci che si giocheranno la partita domenica prossima hanno risposto picche alle ipotesi di apparentarsi, da Roberto Giachetti a Roma a Piero Fassino a Torino.
GLI ESPERTI
Un atteggiamento che secondo Alessandra Ghisleri, direttrice di Euromedia Research segnala che «si sta andando verso l'impossibilità di controllare il voto da parte dei partiti. I candidati al ballottaggio hanno capito che i voti non sono una proprietà del partito. E non vogliono pagare un prezzo del quale però non si sa quale sia stato effettivamente l'apporto del partito».
D'altra parte, aggiunge Antonio Noto, direttore di IPR Marketing, «se vogliamo fare un esempio concreto, possiamo dire che gli elettori che a Roma hanno votato Stefano Fassina al primo turno voterebbero o non voterebbero Roberto Giachetti al ballottaggio indipendentemente dall'indicazione del leader». Un fatto nuovo che per Noto ha una doppia chiave di lettura: «Il segno che gli elettori decidono da soli è un segno positivo se lo si vede come la scelta di un elettore maturo che decide con la sua testa, è invece un fatto negativo se invece lo si interpreta come la mancanza di credibilità dei leader e che questo porta al fatto che non c'è più controllo di nulla».
I dati confermano che gli apparentamenti sono agli sgoccioli e che chi è andato al ballottaggi coerentemente con le promesse fatte in campagna elettorale rifiuta l'apparentamento. Al momento le uniche eccezioni al rifiuto dell'apparentamento sono quelle di Beppe Sala che a Milano ha stretto l'accordo con i Radicali, che al primo turno hanno preso l'1,88%, e quello siglato a Bologna da Virginio Merola con i Verdi che lo scorso 5 giugno avevano conquistato l'1,51%. Piccole cose rispetto a quanto si registrava in passato. Così se non c'erano dubbi sulla scelta del M5S di rifiutare qualsiasi accordo come ha fatto nei confronti delle avance di Matteo Salvini (che ha indicato ai suoi di votare per Virginia Raggi a Roma e Chiara Appendino a Torino), anche Fassino ha sbattuto la porta a ogni eventuale approccio, soprattutto da parte della sinistra che gli si è schierata contro al primo turno, ribadendo che l'apparentamento «sarebbe figlio di accordi politici tra partiti e quindi contrario alla logica del ballottaggio che è fondato sul rapporto diretto tra candidati ed elettori e non con i partiti». Cosa ribadita anche da Giachetti a Roma. Il caso più eclatante però riguarda sempre Bologna con Manes Bernardini, il candidato dei centristi che al primo turno aveva preso un bel 10,44% delle preferenze e si era detto disponibile ad apparentarsi con chi, tra gli sfidanti Merola e la leghista Lucia Borgonzoni, accettava le sue proposte. E in cambio ha ricevuto un sonoro no grazie soprattutto dalla candidata leghista che con un gap di 17 punti sul sindaco uscente ne avrebbe avuto davvero bisogno. Bergonzoni invece ha risposto picche «perché abbiamo fatto delle promesse precise» agli elettori.
LA MUTAZIONE
Una situazione che, spiega Enzo Risso, direttore scientifico di Swg, «è il risultato del tripolarismo e dell'ingresso prepotente dei grillini che hanno fatto assumere come il fatto che apparentarsi equivale a inciucio. Per questo, a parte delle piccole alleanze sempre molto organiche alla propria area, la volontà di tutti i vari candidati è quella di andare dritti a prendersi il voto dagli elettori proprio per evitare di essere attaccati dall'altra parte come degli inciuciatori. C'è poi un secondo tema. Essendo diventata tripolare la competizione ed essendoci meno liste civiche - conclude Risso - fare un apparentamento, ad esempio a Torino tra Fassino e il centrodestra diventerebbe una grosse koalition e quindi cambierebbe anche il senso politico della cosa».

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