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Pescara, 25/07/2024
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Data: 14/07/2016
Testata giornalistica: Il Centro
Nell’Italia dei treni locali. Meno linee e biglietti cari. Il lavoro per ammodernare la rete ferroviaria è gigantesco in tutto il Paese. Sulle linee minori In Francia e Germania il numero di passeggeri è quasi il doppio

La tragedia ferroviaria di queste ore deve far riconsiderare l’intera politica dei trasporti collettivi in Italia restituendo ai treni locali e regionali una priorità da tempo dimenticata. Il terribile scontro sul binario unico di una ferrovia locale molto frequentata come questa pugliese avviene proprio nel momento in cui un ministro, Graziano Delrio, sta orientando di nuovo sulla “cura del ferro” la politica del suo ministero e quindi del governo. Questo dato di fondo va sottolineato in premessa. Certo il lavoro da fare è gigantesco se si vuole rimontare la china e restituire ad un Paese per due terzi di montagna e collina il trasporto più adatto, specie d’inverno. Come non hanno cessato di fare Svizzera e Austria. Noi invece in pieno “boom” automobilistico, nel 1966, abbiamo, per esempio, soppresso la ferrovia asburgica Calalzo-Cortina-Dobbiaco trasformando quella montagna e il suo gioiello di lusso in una sorta di camera a gas. Al Centro, più sguarnito di rotaia dello stesso sud, si sono soppresse linee locali che portavano un migliaio e più di pendolari al giorno dalla pianura all’alta collina come la Fano-Urbino. Nel profondo Sud il grande centro siderurgico di Taranto, non solo è stato avvicinato, rispetto al piano della Tekne, di 7 chilometri alla città, ma è partito con una ferrovia per Bari a binario unico e non elettrificata, gap superato decenni più tardi. Più stupidi e miopi di così... Purtroppo ci si ricorda della arretratezza delle nostre ferrovie soltanto quando avviene una tragedia come questa pugliese, su una linea non a caso a binario unico priva di un sistema di segnalazione a distanza adeguato. Come buona parte delle troppe ferrovie ad un solo binario, il 55-60% del totale. Eppure nell’ultimo mezzo secolo la base di utenza delle FS sono stati proprio i pendolari delle aree metropolitane. Con prezzi dei biglietti e abbonamenti rimasti per decenni (al pari dei biglietti di tram e bus) troppo bassi, ma per servizi che andavano deteriorandosi o rattrappendosi. Ci sarà pure una ragione di fondo se il traffico passeggeri in Francia e in Germania è, per numero, quasi il doppio del nostro e se da loro, fra 2007 e 2012, esso è aumentato dell’8,7 e del 10,0 %, mentre da noi si è ridotto invece del 10,4%. C’è stata, è vero, la grande novità dell’Alta Velocità che già nel 2011 raggiungeva i 12,3 miliardi di passeggeri l’anno contro i 43,4 della rete ordinaria col risultato finale di far aumentare il totale delle persone trasportate in ferrovia. Ma gli “altri” rappresentano ancora il 75-80 % di tutti i passeggeri e sarebbero di più se, ad esempio, in Piemonte non fossero state cancellate 14 linee aumentando in parallelo i biglietti del 47%, un record, sia di tagli che di rincaro. Non isolato però: la soppressione di treni è stata del 26,4% nella montana Calabria, del 19 in Basilicata, del 15 in Campania. In Sardegna - dove nessuna linea risulta elettrificata e dove vanno ancora le vecchie littorine diesel - i passeggeri sono ovviamente diminuiti del 9,4% e così in Umbria, una delle regioni più impoverite di linee ferroviarie. Succede anche su tragitti fondamentali: sulla Circumvesuviana - secondo il Rapporto “Pendolaria” di Legambiente - dove viaggiano 120.000 persone al giorno alle quali però l’offerta di trasporto è stata ridotta del 30%. Né l’incremento vistoso dell’Alta Velocità ha “liberato” - come si era garantito - i vecchi binari per il traffico pendolare aumentato di molto in questi anni di crisi e di rinuncia (non è un male) all’auto. Ad esempio nell’area metropolitana di Roma che attrae centinaia di migliaia di lavoratori, di studenti, di badanti, di colf dall’Abruzzo (e qui le ferrovie sono ottocentesche, si provi a salire su un treno Roma-Pescara, 210 km, 4 ore di viaggio, se va bene) come dalla Tuscia o dal basso Lazio. Sono salito tempo fa su un treno per Latina in orario da pendolari di ritorno, di una lunghezza inimmaginabile, fine corsa a Villa Literno (Caserta). Un affollamento indicibile. E i binari “liberati” dall’Alta Velocità? Il presidente della Regione Toscana, Enrico Rossi, in polemica con Trenitalia, ha provato a viaggiare in incognito sulla linea del Valdarno. Conclusione: «Treno sovraffollato, anche se mi dicono meno del solito. Da Figline Valdarno solo posti in piedi». Rossi ha chiesto che i treni regionali vengano messi a gara pubblicamente per garantire servizi migliori. Sulla stessa posizione critica Luca Zaja presidente veneto. Certo la tragedia pugliese ci dice che con i privati non va sempre meglio. Però una concorrenza in positivo la si potrà pur sperimentare. Urgono nuovi investimenti in tecnologie, raddoppi di binari, convogli. Non possiamo continuare a far viaggiare la gente in condizioni tanto penose e magari costringerle ad immigrare in nuove desolate periferie, oppure congestionare con altre auto, con altri pullman inquinanti le strade di accesso alle città. Questa dei treni regionali e locali è ormai una vera “questione nazionale”.

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