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Pescara, 25/07/2024
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Data: 14/07/2016
Testata giornalistica: Il Tempo
«Ferrovie Sud-Est», deraglia lo sperpero. Truffe, tangenti, gare sospette. Ecco lo scandalo dei treni d’oro pugliesi

Truffe, tangenti, consulenze d’oro, appalti sospetti e corruzione. Risultato: un debito di circa 350 milioni di euro, che fanno delle Ferrovie Sud-Est, 1.300 dipendenti e 474 km di linea in mano al ministero delle Infrastrutture, un colabrodo politico-burocratico-amministrativo. Al centro dell’incredibile vicenda, l’ex amministratore delegato delle Fse Luigi Fiorillo, per più di due decenni patron delle Sud-Est, confermato da ben 16 ministri e ora sotto inchiesta per truffa aggravata transnazionale ai danni dello Stato.

VAGONI D’ORO
Per raccapezzarsi su quello che in terra pugliese è conosciuto come lo scandalo dei "treni d’oro" occorre partire dall’inizio, da quel 9 maggio 2014, giorno in cui il Nucleo di polizia tributaria di Bari, nell’ambito di un’indagine della procura su una presunta truffa ai danni della Regione Puglia nell’acquisto all’estero di treni e carrozze, consegna ai magistrati un’informativa per chiedere il sequestro di 14 milioni di euro di beni delle Fse. Una cifra che comprende 11 milioni di provvigioni (dietro cui si nasconderebbero le tangenti), pagati per l’acquisto di 27 treni Atr-220, e 2,8 milioni di contributi regionali, probabilmente percepiti indebitamente, per comprare le carrozze tedesche di seconda mano. Uno degli indagati è proprio Fiorillo, che insieme al responsabile tecnico ed ex direttore generale dell’azienda, Nicola Alfonso, e ai tre intermediari (Giuseppe Fiaccadori, titolare della società Railconsult, Carlo Beltramelli, presidente della Filben, e Marco Mazzocchi, prestanome della società Varsa, fulcro dell’intera storia), risponde anche di falso e peculato.

AFFAIRE POLACCO
L’affaire, come raccontato da un’inchiesta della Gazzetta del Mezzogiorno, prende le mosse tra il 2006 e il 2009, quando le Fse comprano, a 37.500 euro l’una, 25 carrozze Silberling (per un totale di 912mila euro) dismesse dalle ferrovie tedesche, girate, poi, per 280mila euro l’una (7 milioni in tutto) alla Varsa, che le ristruttura in Croazia per rivenderle alle Fse a 900mila euro a carrozza, pari a 22 milioni e mezzo di euro. Secondo una perizia chiesta dai magistrati, il valore reale di ogni carrozza era, in realtà, di 448mila euro (per un totale di 11,2 milioni di euro). La metà di quanto sborsato dalle Ferrovie. Sette delle 25 carrozze vengono finanziate dalla Regione Puglia. Sulla base di una fattura della Varsa di 6,7 milioni di euro, infatti, le Fse ottengono contributi pubblici per oltre 5 milioni di euro, quando il prezzo reale era di poco più di 3 milioni. La Varsa, con sede a Varsavia, in Polonia, è protagonista anche della seconda iniziativa messa in atto dalle Fse, ovvero l’acquisto di altri 27 nuovi treni Atr-220 della società polacca Pesa, comperati con fondi europei. Valore dell’operazione: 93 milioni di euro. In questo caso la Varsa, società intermediaria, intasca oltre 12 milioni come provvigione, e i costi dei treni, annotano i finanzieri, vengono "artatamente gonfiati" così da permettere di far confluire "parte dell’illecita percezione" nelle casse della società polacca. La somma totale dei finanziamenti pubblici ricevuti in modo illegittimo è, dunque, 14,8 milioni di euro (2,8 per le sette carrozze e 12,6 per la provvigione Varsa).

TANGENTI E TRENI FERMI
Pochi mesi dopo dalle carte dell’inchiesta salta fuori che, in realtà, il patron della Varsa e ideatore dell’operazione "treni d’oro" non è Mazzocchi (condannato per ricettazione) ma uno degli altri indagati, Beltramelli, indicato dalle Fiamme Gialle anche come colui che gestisce come vuole il sistema delle forniture all’interno delle Ferrovie Sud Est. Secondo le ricostruzioni degli inquirenti, inoltre, Beltramelli avrebbe pagato anche delle tangenti ad Alfonso. Assurdo è, infine, apprendere che ben 21 delle 25 carrozze acquistate, secondo la procura, in modo truffaldino, a distanza di qualche anno dall’operazione sono ferme, lontane dai binari, prese di mira dai vandali.

SEQUESTRO, DIMISSIONI, SPERPERI
Nel marzo del 2015, inoltre, la Corte dei Conti dispone un sequestro conservativo dei beni per 11 milioni di euro nei confronti di Fiorillo e Alfonso. Pochi mesi dopo, Fiorillo (a cui successivamente vengono sequestrati beni per altri 20 milioni di euro), dopo 23 anni molla Fse. E mentre i presunti colpevoli dichiarano che gli acquisti dei treni sono del tutto legittimi e legali, il Commissario straordinario dell’azienda, Andrea Viero, trasmette al ministro delle Infrastrutture Graziano Delrio e all’Anticorruzione di Raffaele Cantone la relazione finale sui "treni d’oro", dalla quale emerge che Fiorillo ha sperperato soldi in consulenze e sprechi fino a creare un "buco" di 280 milioni di euro. L’ex patron di Fse (nel frattempo indagato anche per dichiarazione fraudolenta ed emissione di fatture per operazioni inesistenti e a rischio processo per concorso in truffa aggravata transnazionale), grazie alle sole consulenze che si è assegnato da sé, fra il 2004 e il 2013 ha incamerato ben 4,9 milioni di euro, mentre in dieci anni si è portato a casa, in totale, 13,7 milioni di euro (a fronte di uno stipendio da 40mila euro lordi annui). Dal 2006 al 2015 Fse ha speso 83 milioni di euro per l’esternalizzazione della contabilità e 116 per quella dei sistemi informativi. Ben 73 se ne sono volati via per consulenze e spese legali, a fronte dei 42 utilizzati per la manutenzione.

DECRETI INGIUNTIVI
Le Ferrovie Sud-Est ricevono dalla Regione Puglia 135 milioni di contributi all’anno. Negli ultimi dieci anni hanno investito un miliardo di euro per ammodernarsi, eppure sui binari circolano treni degli anni ’50 perché molti di quelli acquistati, forse truffando lo Stato, restano a cuocersi sotto il sole. L’azienda è in attesa di ricevere 70 milioni dal ministero, che però tardano ad arrivare, anche perché i creditori reclamano i loro diritti e i decreti ingiuntivi sono già stati emessi. Forse Fse, per salvarsi, sarà acquistata dal Gruppo Fs. Il ministro Delrio, intanto, ha chiesto scusa ai pugliesi per «20 anni di malagestione» e promesso l’apertura di una «pagina nuova» per l’azienda. A crederci, però, sono davvero in pochi

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