Iscriviti OnLine
 

Pescara, 25/07/2024
Visitatore n. 738.574



Data: 15/07/2016
Testata giornalistica: Il Messaggero
Ora l'inchiesta si allarga al ministero. Cantone: la strage dei treni c'entra con la corruzione

ANDRIA Collaudi e manutenzione, appalti e commesse: insomma, tutto ciò che ha a che fare con la sicurezza (e con i controlli della sicurezza) da ieri è entrato formalmente nell'inchiesta di Trani. C'è una nuova mossa da parte dei pm che indagano sull'incidente ferroviario che ha provocato 23 vittime e una cinquantina di feriti: ieri mattina, blitz mirati sono stati disposti per acquisire carte e documenti (tra cui anche immagini e tracciati informatici) nelle due stazioni, negli uffici della Ferrotramviaria (società che gestisce i convogli sulla tratta teatro del disastro), ma anche in alcuni uffici degli enti locali. In particolare, forte di una delega ad hoc, la Mobile di Bari bussa alle porte dell'Ustif di Bari (struttura periferica del ministero delle Infrastrutture e Trasporti), l'ufficio che si occupa di tutti i trasporti a linea fissa, comprese i tratti in concessione, come la ferrovia del Nord barese.
OMICIDIO COLPOSO PLURIMO
Cosa cercano gli uomini della pg? Tutto ciò che ha che vedere con la sicurezza? C'erano stati interventi di manutenzione? Si punta ad acquisire atti e carte relative a collaudi per la messa in esercizio, le autorizzazioni, ma anche eventuali verbali su controlli periodici sulla linea.
Chiara la strategia dei pm: gli inquirenti vogliono accertare se sono stati seguiti tutti i regolamenti, se sono state rispettate le norme e se vi siano in questo ufficio eventuali responsabilità connesse con quanto avvenuto la mattina dell'incidente. Inchiesta coordinata dal procuratore Francesco Giannella, è di ieri la notifica dei primi atti garantiti a carico dei due indagati. Omicidio colposo plurimo e disastro ferroviario, indagine a carico del capostazione di Andria Vito Piccarreta e del suo collega di Corato Alessio Porcelli, i cui legali da questa mattina potranno prendere parte all'autopsia disposta sui corpi di tre vittime (due macchinisti e capotreno) dell'impatto. Ma cosa si legge nell'avviso di garanzia a carico dei capistazione? Sono accusati di «aver cagionato l'incidente ferroviario che ha provocato la morte di 23 persone e il ferimento di altri 50 passeggeri». Ma si tratta solo del filone iniziale dell'inchiesta, del livello - per così dire - elementare del fascicolo. È lo stesso procuratore di Trani a scandire bene il concetto: parlare solo di errore umano per spiegare questa tragedia «è assolutamente riduttivo». Segno della volontà di alzare il tiro delle indagini. Insomma, che ci sia stato un errore - o un equivoco o un difetto di comunicazione - appare abbastanza evidente, ma un disastro di questa portata è figlio di ben altre responsabilità. Specie a giudicare dal traffico ferroviario (e dal volume di affari) che si registra a nord di Bari.
LE RESPONSABILITÀ
Dopo il potenziamento dello scalo aeroportuale, con la creazione di un sistema di navette più rapido, c'è stata un'impennata di convogli, una sorta di boom che il sistema (fatto soprattutto da uomini) non ha retto: su un percorso di una trentina di chilometri, circolano ogni giorno (dalle 5.30 alle 24) oltre 150 convogli, con un ritmo di un passaggio ogni otto minuti nelle stazioni di Andria e Corato, quelle interessate dall'ormai famigerato binario unico. Troppi treni (spesso in ritardo) per quel braccio di ferrovia regolamentato solo dalla dedizione di un pugno di uomini. Cosa è successo martedì mattina? Ora la ricostruzione sembra chiara: si indaga sul passaggio di un terzo treno, che potrebbe aver generato l'equivoco che ha provocato lo schianto di altri due convogli sull'asse Corato-Andria. Proviamo a ricostruire quella manciata di minuti: ci sono due treni che provengono da Bari, uno dietro l'altro, distanziati da pochi minuti, che arrivano a Corato; il primo sarebbe partito da Corato ad Andria in modo regolare; a questo punto, però, il capostazione di Andria non ha atteso l'arrivo del secondo treno, probabilmente convinto che non ci fossero altri passaggi in senso opposto e ha dato il via libera al suo treno. Paletta verde da Andria, ecco muoversi il treno che invece non doveva partire, perché intanto si era messo in movimento anche l'altro treno in partenza da Corato. Possibile che a questo punto, dalla stazione di Andria il funzionario della Ferrovia si sia accorto dell'errore e abbia tentato di far saltare la densità di corrente (il blackout di cui hanno parlato alcuni testimoni), provando a interrompere la marcia dei treni con una mossa disperata ma inutile. Una ricostruzione che non accontenta i parenti delle vittime, che chiedono di conoscere «i veri colpevoli». Ma chi sono i «veri colpevoli»? Non lo dicono formalmente, ma gli inquirenti hanno le idee chiare e puntano l'indice su quanti - per interessi commerciali - hanno tollerato l'andazzo, hanno coperto una prassi fatta di pazienti scambi di messaggi da un punto all'altro di un binario troppo piccolo per ospitare il boom economico del nord barese.

Cantone: la strage dei treni c'entra con la corruzione

ROMA La frase ad effetto è poi precisata, per spiegare che non c'è nessun collegamento diretto, ma il concetto resta. Il disastro ferroviario in Puglia «evidenzia purtroppo un oggettivo collegamento con la corruzione», dice all'inizio del suo intervento Raffaele Cantone: «Le immagini delle lamiere accartocciate, le foto di persone sorridenti che purtroppo hanno perso la vita - spiega - resteranno nelle nostre menti. C'è un oggettivo collegamento con quello di cui parliamo oggi. L'incidente è frutto probabilmente di un errore umano, ma anche conseguenza di un problema atavico del nostro Paese di mettere in campo infrastrutture adeguate ed una delle ragioni di ciò è da individuarsi nella corruzione». Il procuratore di Trani Francesco Giannella, titolare del fascicolo sulla strage, condivide in parte: «In linea generale posso dire che l'eccesso di competenze nel nostro paese è fonte di inefficienze. Ed è lì che si annida la corruzione».
BOOM DI DENUNCE
L'impatto della corruzione sul funzionamento della macchina della pubblica amministrazione è il concetto attorno al quale ruota l'intera relazione annuale 2015 dell'Anac presentata ieri al Senato. Oltre tremila appalti anomali sono stati segnalati nel 2015, anno in cui si è «effettivamente aperto il cantiere dell'Anticorruzione», dice il presidente Cantone. Ma per far fronte ai nuovi compiti, soprattutto quelli arrivati con il nuovo codice dei contratti pubblici in vigore da aprile, l'Autorità ha bisogno di «investire» le risorse che ha a disposizione, come invece prevede l'articolo 19 del decreto di istituzione che infatti, Cantone chiede di rivedere quanto prima. Anche perché nel frattempo l'impegno cresce. Le segnalazioni di anomalie sugli appalti sono cresciute in modo esponenziale «passando da circa 1.200 del 2014 a quasi 3mila del 2015». Mentre considerando tutti gli altri ambiti di intervento dell'Anac «il totale dei procedimenti di vigilanza supera le 6.300 unità». Nell'elenco delle criticità ci sono ovviamente anche le grandi opere, altro riferimento implicito ai fatti pugliesi: «La realizzazione di alcune grandi infrastrutture ha confermato numerose criticità, quali le carenze nella progettazione e l'apposizione di numerose varianti e riserve», molte di queste, sottolinea Cantone, sono pensate per il Mezzogiorno.
FLOP PIANI LOCALI
A non funzionare, invece, sono i piani anticorruzione delle amministrazioni locali. Su 1900 piani esaminati, nella maggior parte dei casi la qualità «appare modesta». Carenze generali che hanno trasformato i piani in un «pezzo di carta». Se è vero che oltre il 96% delle amministrazioni locali ha adottato il piano, «la qualità degli stessi appare modesta», una «situazione insoddisfacente dovuta - ripete - alle difficoltà organizzative delle amministrazioni». Le amministrazioni locali sono ancora incapaci di ammodernare se stesse, insomma. E le criticità sono confermate anche dall'attività svolta nel 2015, anno in cui «sono stati aperti ben 929 procedimenti istruttori, alcuni relativi ad importanti amministrazioni come Roma Capitale e il Ministero dello sviluppo economico».
Proprio su Roma, Anac ha avviato un progetto pilota di «vigilanza integrata».
IL CASO ROMA CAPITALE
Dopo il caso Mafia capitale, sono stati avviati accertamenti nell'ambito della prevenzione della corruzione, della trasparenza e dell'attività contrattuale. E «su tutti e tre - dice il presidente - sono emerse, come era prevedibile, criticità sia pure di diverso spessore». E cioè, specifica la Relazione che in 360 pagine dedica a Roma parecchio spazio, «carenze in materia di trasparenza, in relazione all'omessa pubblicazione dei dati sui processi di pianificazione, realizzazione e valutazione delle opere pubbliche nonché sui bandi di gara e sui contratti».
Nell'analisi di 1.850 procedure non ad evidenza pubblica, tutte hanno mostrato numerosi e gravi profili di illegittimità: «In particolare - è ancora la Relazione a parlare - un ricorso generalizzato a procedure sottratte al confronto concorrenziale; la carenza della verifica dei requisiti di partecipazione alle procedure negoziate degli operatori economici; un improprio ricorso all'affidamento diretto di servizi a cooperative sociali». Non solo le gare non sono quasi mai pubbliche, ma ogni dipartimento del Comune fa storia a se: «Va aggiunto - si legge nel testo - che ciascun dipartimento ha gestito sistemi informativi diversi e che il vertice di Roma Capitale, individuato nell'Ufficio contratti incardinato presso il Segretariato Generale, era dotato di un sistema informativo centralizzato esclusivamente per le gare ad evidenza pubblica dallo stesso espletate». Quadro fosco anche per gli appalti del Giubileo. Anche in questo caso è la Relazione ad evidenziare che Anac nell'analizzare le gare fatte ha inviato al comune di Roma un «elevatissimo tasso di rilievi», «attestandosi al 97% sul totale dei pareri prodotti sino al mese di marzo 2016».

www.filtabruzzo.it ~ cgil@filtabruzzo.it