Iscriviti OnLine
 

Pescara, 25/07/2024
Visitatore n. 738.577



Data: 19/07/2016
Testata giornalistica: Il Messaggero
Tagli Irpef, si parte con l'aliquota del 23%

ROMA Taglio di un punto dell'aliquota più bassa dell'Irpef (che scenderebbe da 23 al 22%) per aumentare i redditi di tutti i contribuenti di 150 euro annui gratificando però maggiormente, in termini relativi, le classi sociali medio-basse. È questa l'ultima ipotesi accarezzata dal premier Renzi e dal suo entourage in vista della legge di Stabilità 2017. Palazzo Chigi sogna una riforma fiscale molto più ambiziosa ma le condizioni macro-economiche, anche alla luce della Brexit, restano complicate.
IL SEGNALE
Tuttavia il governo punta a dare comunque un segnale anche perché, per stessa ammissione dei collaboratori di Renzi, le varie misure tributarie messe in campo finora (gli 80 euro, il taglio dell'Irap, la cancellazione della Tasi sulle prime case e la decontribuzione sui neo-assunti) non hanno sfondato come si sperava nell'opinione pubblica. Servono 2,1 miliardi di euro per ridurre l'aliquota Irpef oggi posizionata al 23% e nei progetti dell'esecutivo quei soldi potrebbero saltar fuori da nuovi tagli di spesa da realizzare il prossimo anno. Di questa riduzione dell'ultimo scaglione (sotto i 15 mila euro di reddito) beneficerebbero indistintamente tutti i 41 milioni di contribuenti sottoposti a imposizione diretta ma, per effetto della progressività che caratterizza il sistema fiscale italiano, l'impatto più concreto e visibile riguarderebbe i portafogli dei contribuenti posizionati sulla curva più bassa dell'Irpef. Questo scenario modifica, senza cancellarlo in chiave futura, lo schema di riforma che ha in testa Renzi. Vale a dire una riduzione di un punto delle due aliquote Irpef del 27 e del 38% che spaziano sui redditi da 15 a 55 mila euro lordi comprendendo 11 milioni di contribuenti.
Si tratta, riferiscono fonti vicine al presidente del Consiglio, di una pista ancora valida ma, almeno per il momento, non ancora percorribile anche se strategica. E la ragione è comprensibile: l'operazione 80 euro ha gratificato 10 milioni di dipendenti ma a quota 26 mila euro gli effetti in busta paga si annullano del tutto. E la strategia che si intende perseguire è ridurre il carico fiscale in particolare sul ceto medio che naviga, appunto, tra 30 e 55mila euro. Vale a dire su una platea di italiani a forte vocazione risparmiatrice alla quale, tra l'altro, non ha fatto certo piacere l'aumento del prelievo sulle rendite finanziarie deciso dal governo poco più di un anno fa.
LE COPERTURE
Per il momento, insomma, si punta a ridurre di un punto l'aliquota del 23%, poi si vedrà. Tanto più che il menù della legge di Stabilità è già ricco di piatti piuttosto laboriosi. Si parte da 16 miliardi di euro (copribili solo in parte facendo ricorso alla maggiore flessibilità concessa di Bruxelles) per sterilizzare gli aumenti Iva delle clausole di salvaguardia già previste. E a tale proposito il ministro dell'Economia Padoan, la scorsa settimana, ha ribadito che si tratta di una misura certa, così come il taglio dell'Ires, già inserito e coperto nella scorsa legge di Stabilità. Si devono poi trovare risorse per finanziare l'aumento del bonus per i neonati e per i diciottenni, l'aumento delle pensioni minime e il rinnovo del contratto dei dipendenti pubblici in attesa dal 2009.
Un'agenda resa complessa da un quadro generale incerto. Se Pil dovesse fermarsi quest'anno all'1%, e non salire neppure nel 2017 (come previsto dall'Fmi), la legge di Stabilità si complicherebbe. Le stime del governo sono infatti ferme a quanto previsto nel Def di aprile e non saranno modificate prima di settembre, quando sarà pubblicata l'apposita Nota di aggiornamento. Secondo quanto concordato con Bruxelles, negli stessi anni il deficit si dovrebbe assestare rispettivamente al 2,3% e all'1,8%. Ma alla luce delle nuove previsioni, mantenere quei livelli di indebitamento significherebbe sanare uno scostamento che costerebbe 5 miliardi di euro.

www.filtabruzzo.it ~ cgil@filtabruzzo.it