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Pescara, 25/07/2024
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Data: 19/07/2016
Testata giornalistica: Il Messaggero
Morti per amianto, 5 anni a De Benedetti

IVREA Per decenni negli stabilimenti di Ivrea e del Canavese del gruppo Olivetti un killer silenzioso ha seminato vittime. «Ogni volta che entravo in ufficio trovavo la scrivania coperta di polvere bianca. Mi portavo uno straccio da casa per pulirla», ha raccontato in aula la testimone Bruna Luigia Perello. Quel pulviscolo era fibra di amianto che, ha dimostrato una perizia, ha fatto ammalare e poi morire dieci dipendenti. I colpevoli, è il verdetto del giudice Elena Stoppini, sono tredici manager della società e tra questi c'è Carlo De Benedetti, per diciotto anni amministratore delegato dell'Olivetti. L'accusa aveva chiesto nei suoi confronti 6 anni e 8 mesi per omicidio colposo e lesioni, la condanna è 5 anni e 2 mesi. Non solo: il giudice ha disposto la trasmissione degli atti in Procura per altri tre decessi attribuiti a tumore polmonare. Dunque, le indagini nei confronti di De Benedetti continuano.
RULLI PIENI DI TALCO
«Già all'inizio degli anni Novanta l'amianto non esisteva più da nessuna parte, in Olivetti c'è ancora. L'azienda ha rinviato gli interventi di bonifica badando a spendere il meno possibile», è la tesi dei pm. Insomma, la società è stata incurante e i manager ne erano al corrente. Condannati dunque anche il fratello di Carlo, Franco Debenedetti (5 anni e 2 mesi quale ex vicepresidente ed ex ad), e l'ex ministro Corrado Passera (1 anno e 11 mesi per aver anch'egli ricoperto la carica di ad), assolto Roberto Colaninno, imputato per un solo caso di lesioni colpose. Gli indennizzi a titolo provvisorio alle parti civili ammontano a quasi 2 milioni di euro, le somme dovranno essere versate in solido dagli imputati ritenuti colpevoli a seconda delle singole posizioni e da Telecom, chiamata in causa come responsabile civile. Il totale delle provvisionali, cioè l'anticipo stabilito dal giudice, è di 710 mila euro.
L'inchiesta, partita nel 2013, ha portato alla luce una gestione superficiale e trascurata della sicurezza negli impianti dell'Olivetti: «Ampie carenze nella prevenzione», afferma il procuratore di Ivrea Giuseppe Ferrando. La prima denuncia è quella presentata sei anni fa dai familiari dell'operaia Lucia Delaurenti: «Usava dei rulli pieni di talco, per cui il grembiule che portava a casa, alla sera, era tutto bianco», ricorda il marito Giovanni. Non aveva né mascherina né guanti e quel talco conteneva tremolite, un particolare tipo di amianto. Che si annidava ovunque: nei capannoni, fra le tubature a vista e i rivestimenti di pareti e soffitti, negli uffici, persino in mensa, dove era presente sotto forma di «materiale friabile». La manutenzione non era accurata, le fibre si disperdevano nell'ambiente e i lavoratori erano del tutto all'oscuro del pericolo. Il talco contaminato venne sostituito solo nel 1986 e fino al 1988 nel locale mensa di Via Jervis «non si adottarono misure igieniche e di sicurezza che consentissero ai lavoratori di mangiare, bere e sostare senza rischio di contaminazione». Così si ammalarono non solo operai, elettricisti, addetti alla verniciatura o ai trattamenti termici ma anche addetti alla contabilità.
VALANGA DI RICORSI
Per le difese, però, si tratta di accuse «fragili e poggiate sulle nuvole». Dunque, annunciano valanghe di ricorsi. Nel processo di secondo grado, sostengono, dovranno essere valutati meglio i documenti (recuperati nell'archivio Olivetti) sul decentramento delle responsabilità attraverso il meccanismo delle deleghe.
«E si dovrà prendere atto che, a differenza di quanto sostiene la Procura, nei cicli di lavorazione non si usava talco contaminato da asbesto», affermano i legali dei manager condannati. Per il momento la pm Laura Longo, che ha sostenuto l'accusa insieme alla collega Francesca Traverso, ha espresso una soddisfazione relativa dato, ha spiegato, che siamo di fronte all'ennesima tragedia dell'amianto. «Quelle morti», ha detto, «si potevano e dovevano evitare».

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