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Pescara, 25/07/2024
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Data: 07/08/2016
Testata giornalistica: Il Messaggero
Per la flessibilità in uscita 600 milioni da Confindustria

ROMA Flessibilità in uscita dal lavoro con il contributo finanziario delle imprese. E' questa l'ipotesi accarezzata dal governo alle prese con il pacchetto previdenza da mettere a punto con la legge di Stabilità. Palazzo Chigi ha messo sul piatto 2,5 miliardi di euro per finanziare vari interventi (nel dossier figurano anche lavori usuranti, agevolazioni per lavoratori precoci, ricongiunzione dei contributi versati in gestioni diverse e quattordicesime), ma al centro della strategia c'è l'operazione che punta ad accompagnare verso la pensione anticipata centinaia di migliaia di italiani che si trovano a tre anni (o meno) dalla maturazione dei requisiti. Su questo delicato capitolo, la copertura sarebbe di 600 milioni, ma il governo punta a coinvolgere nella partita Confindustria raddoppiando la posta, con un contributo sostanzioso, potenziando l'efficacia della riforma.
IL PERCORSO
L'idea che sta prendendo corpo nasce da un dato di fatto: la fine dell'indennità di mobilità prevista per il 2017. In pratica, dal prossimo anno, il contributo dello 0,30% che le imprese versano per consentire ai lavoratori messi in mobilità di percepire un sostegno economico mensile per periodi che vanno da un minimo di 12 mesi ad un massimo di 48 non sarà più dovuto. Perché non dirottare queste risorse sulla flessibilità in uscita? Questa soluzione, della quale governo intende discutere con Viale dell'Astronomia, potrebbe presto prendere corpo. Soprattutto in considerazione del fatto che molte imprese sono desiderose di accelerare i processi di ristrutturazione aziendale in atto favorendo un meccanismo utile agli per mandare in pensione anticipata il personale giudicato in esubero. La flessibilità in uscita (denominata Ape), costruita sulla triangolazione governo-Inps-banche, potrebbe dunque allargarsi ad un quarto soggetto. Elemento che non cambierebbe però la natura dell'intervento, ormai delineato nella sua architettura. Vale a dire un anticipo pensionistico (su base rigorosamente volontaria) da restituire in 20 anni per uscire fino a tre anni prima dell'età di vecchiaia, con la discesa in campo di banche e assicurazioni (che concedono il prestito), sotto la regia dell'Inps. Si dovrebbe partire con le classi 1951-53 nel 2017, per poi allargare il meccanismo ai nati nel 1954 nel 2018 e nel 1955 nel 2019. Invece dei 66 anni e 7 mesi attuali, si potrebbe lasciare il lavoro a 63 anni e 7 mesi. Per questi tre anni non si percepirebbe la pensione, ma si otterrebbe un prestito da una banca che poi verrebbe restituito a rate mensili trattenute dalla pensione una volta raggiunti i 66 anni e 7 mesi. A quanto ammonterebbe il prestito? Sarebbe commisurato a quello della futura pensione. L'assegno verrebbe erogato dall'Inps (al 95% del trattamento maturato con i requisiti ordinari) che poi, al compimento dei 66 anni e 7 mesi, inizierebbe a rimborsare il prestito alle banche decurtandolo dalla pensione stessa. La decurtazione verrebbe legata all'entità dell'assegno, più alta per le pensioni alte, più bassa per quelle inferiori. Le cifre sono ancora incerte, ma per un anticipo di tre anni si potrebbe arrivare a un taglio del 15%. Nel pacchetto sono previsti anche gli interessi sul prestito, mitigati però da un sistema di detrazioni fiscali congegnato per dividere il peso con lo Stato.
I DETTAGLI
Nei progetti del governo l'Ape sarebbe accompagnato dalla ricongiunzione gratuita dei percorsi contributivi. Nella primavera del 2017 si potrebbero poi affrontare gli altri temi, dall'aumento della platea della quattordicesima (o dell'assegno) a quello della no tax area, fino agli interventi ad hoc per i lavori precoci (con l'ipotesi di riconoscere un bonus contributivo da 4 a 6 mesi per ogni anno lavorato tra i 14 e i 18 anni) e usuranti (si studia il progetto di congelare per un certo periodo l'adeguamento automatico dei requisiti all'aspettativa di vita).

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