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Pescara, 25/07/2024
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Data: 07/09/2016
Testata giornalistica: Il Messaggero
Caos Roma - Il Direttorio M5S: via Muraro e De Dominicis. Processo a Di Maio. Grillo piomba a Roma. La parabola del grillino in doppio petto: da aspirante premier a chi-l’ha-visto

ROMA Uno psicodramma lungo un giorno. Tra il direttorio chiuso in un interminabile regolamento di conti a Montecitorio e la tensione che si taglia con un coltello in Campidoglio. E alla fine passa la linea dura, la linea tabula rasa, la richiesta di azzerare il cerchio magico che ruota intorno alla Raggi. Poco meno di un'amputazione: via il vice capo di gabinetto Marra, accusato di essere colluso con le passate amministrazioni, via il fedelissimo Romeo, dirigente superpagato, via il neo assessore al Bilancio De Dominicis, magistrato della Corte dei Conti suggerito dallo studio Sammarco.
Terra bruciata insomma intorno al sindaco che chiedeva più autonomia e pollice verso per l'assessore all'Ambiente Muraro invitata a dare nelle prossime ore le dimissioni per aver oscurato le sue vicende giudiziarie. La richiesta di dimissioni di 4 persone in un colpo solo. Raggi prova a resistere: cede solo su Marra e Romeo, ma punta i piedi sui due assessori. Aspetta di sentirselo dire direttamente da Grillo, spiegano i suoi: oggi il fondatore arriva infatti a Roma.
OMERTÀ OMERTÀ Il verdetto più pesante del vertice pentastellato è però quello che non è stato ufficialmente pronunciato: il processo a Luigi Di Maio messo sul banco degli imputati accanto alla sindaca. Entrambi sapevano, entrambi hanno taciuto? E' il nuovo grillismo omertoso? Con questo capo d'accusa il candidato in pectore a palazzo Chigi si è sentito inchiodato e accerchiato. Ha disdetto la sua partecipazione alla prima di Politics, su RaiTre. Mentre Di Battista annullava il suo coast to coast, girando il suo scooter verso la capitale, «torno, ci sono problemi».
Contro Di Maio tutti o quasi. Roberto Fico che non lo ha mai avuto troppo in simpatia. Ma anche Carla Ruocco furibonda per il modo in cui la Raggi costrinse alle dimissioni l'ex assessore al Bilancio Marcello Minenna, un suo protetto, e l'ex capo di Gabinetto Carla Raineri. La squadra che lei aveva spinto in Campidoglio e che si è trovata la strada sbarrata. Il primo aveva chiesto senza ottenerla l'assunzione con distacco di tre dirigenti Consob (Maria Boi, Mario Romeo e Stefano Fabrizo). La seconda il supporto di un avvocato, (Guido Cecinelli) che facesse da passpartout per aprirle le porte della burocrazia romana. Quando il rapporto con la sindaca è diventato incompatibile Minenna e Raineri hanno deciso di farsi da parte. La Ruocco aveva chiesto a Di Maio di intervenire ma il vice presidente della Camera aveva scelto di schierarsi con la Raggi.
RAGGI AL QUADRATO «Non vorrai scaricarci tutta la colpa addosso», ha puntato il dito contro Di Maio la senatrice Paola Taverna, fino a ieri membro del mini-direttorio romano. All'incontro era presente anche Stefano Vignaroli, il principale sponsor di Paola Muraro. Di Maio, apparso provato, il volto scavato, ha incassato i colpi. Non ha reagito neanche quando una voce femminile ha urlato in modo che si sentisse anche fuori dalla porta, «qui se andiamo al governo rischiamo di ritrovarci con una Raggi al quadrato...». Il nome della sindaca trasformato in poco meno di un insulto la dice lunga sul clima. E non doveva essere migliore neanche l'atmosfera che si respirava a Milano nel quartier generale della Casaleggio. Si dice che Davide, l'erede del guru fondatore, l'abbia presa malissimo, che si sia sentito ingannato e che già oggi uscirà ufficialmente allo scoperto. Dirà cosa pensa ispirandosi alla parole del padre.
IL SALVAGENTE La prima a scatenare gli ortodossi è stata Roberta Lombardi con un post al curaro su Facebook che già indicava la linea, «ammettere gli errori, chiedere scusa, mandare via chi con il M5S non c'entra nulla e mai c'entrerà nulla, fare gruppo perché la sfida è titanica, da soli non si può nulla e concentrarsi solo ed esclusivamente sul rilancio di Roma. Solo questo». Pensieri condivisi che scatenano una pioggia di like. La Lombardi, che a Roma ha il polso del movimento, guida la carica. Barbara Liuzzi, senatrice pugliese ben vista dallo staff milanese la segue a ruota: «Questo non è il momento di prendersela con la stampa brutta e cattiva - ammette - è tempo di chiedere scusa, risolvere velocemente il problema e continuare a lavorare senza distrazioni».
Se a prevalere fosse l'istinto, l'ansia di vendetta, se dipendesse insomma dal rancore, Virginia Raggi verrebbe lasciata affogare. Lo pensano segretamente la Ruocco e la Lombardi e con loro anche molti attivisti e deputati. Senonché salvare il soldato-Raggi è diventata la nuova mission del popolo grillino. Salvare lei per salvare tutti.

La parabola del grillino in doppio petto: da aspirante premier a chi-l’ha-visto

ROMA Luigi Di Maio, che insieme alla Raggi forma una coppia di avventurieri dalla faccia pulita e dall'apogeo è passato alla tempesta in cui ce l'hanno tutti con lui («Sapeva ogni cosa, fu informato da una mail di Paola Taverna e ora fischietta e fugge dalla vicenda romana», lo accusano i compagni di partito), è un politico francese o di Pomigliano d'Arco? Forse, entrambe le cose.
Perché Honoré de Balzac, nel romanzo Il deputato d'Arcis (1847), parla di un giovane politico rampante «più pieno di ambizioni che di idee» e la fisionomia del personaggio raccontato dal grande scrittore somiglia, probabilmente su scala maggiore, a quella di Di Maio. Anche in questo: il deputato d'Arcis (che dev'essere una sorta di Pomigliano d'Arco transalpina) «è sempre contro tutte le intraprese di ogni governo, buone o cattive che siano». Ma adesso, è come se sotto scacco ci fosse il governo pentastellato che magari verrà ma forse anche no e il suo titolare in pectore, perché se il Campidoglio per la Raggi costituisce la piattaforma raggiunta e già traballante, per Di Maio la conquista della Capitale ha rappresentato il trampolino di lancio, evidentemente inceppato, per la premiership. È quasi più nella bufera lui che lei, insomma.
IL FUGGIASCO Gigi il Fuggiasco, infatti, ieri non solo non si è fatto quasi vedere alla riunione dei vertici grillini alla Camera. Ma soprattutto ha dato forfait alla trasmissione di esordio di Politics, dove doveva essere intervistato da Gianluca Semprini, e la sua sedia rimasta vuota non è riuscita neppure lontanamente a rivaleggiare per importanza con quella, altrettanto deserta, su cui non volle accomodarsi Giancarlo Pajetta in una Tribuna elettorale del 1963. E così, visto che di Prima Repubblica stiamo parlando, essendo l'azzimato Di Maio più antico che giovane nonostante la Mini Minor sbarazzina a bordo della quale si fa fotografare sui rotocalchi e qualche posa fintamente guascona, va ricordato il soprannome che gli è stato affibbiato: quello di Forlani digitale. Oggi però Gianfranco Piazzesi, straordinario giornalista del passato che definì Forlani il Coniglio Mannaro, fatte le debite proporzioni rispetto a quel gentiluomo Dc direbbe del Di Maio fuggente e spaventato che è un Coniglio Non Mannaro. Un po' come lo definiscono gli spiritosoni da social che ieri si sono sbizzarriti: «Di Maio non partecipa a Politics ma a Chi l'ha visto».
Di fatto colui che weberianamente parlando stava tentando la via del carisma istituzionale - ossia la compostezza simil-moderata da vice-presidente della Camera con tanto di cravattone, abiti grigi sulla spiaggia come Aldo Moro sotto l'ombrellone di Terracina, giri per le cancellerie europee, incontri con gli imprenditori e con le lobby - puntualmente inciampa e si defila, tra Parma, Quarto e Roma, quando le giunte 5 stelle incontrano problemi. Inseguito dai sussurri come sta accadendo adesso: «Era quello che sapeva tutto e non ha detto niente».
Un premier in pectore coraggioso e volitivo, magari consigliato dalla bella fidanza-coach televisiva Silvia Virgulti, avrebbe potuto correre in video per ribaltare con il fuoco della passione politica la situazione complicata sua e del suo movimento. Oppure Il Coniglio Non Mannaro, partecipando a Politics in un giorno difficile, temeva di bissare la performance disastrosa in cui incappò a fine giugno intervistato da Lucia Annunziata e dove andò in scena un re nudo in tutta la sua impreparazione tra economia e politica estera?
IL PRINCIPIO DI PETER Per Di Maio potrebbe valere infatti il Principio di Peter (titolo di un libro del 1963 di Laurence Peter, grande psicologo esperto nei meccanismi del comando)«In una gerarchia, ciascuno sale fino a raggiungere il proprio livello di incompetenza». La salita di Di Maio si sta facendo sempre più difficoltosa. E del resto è punteggiata da buche stradali, ovvero verbali, su cui prima si volava e in cui adesso si sprofonda. Come questa: «Se un politico viene indagato - parola di Gigi il Fuggiasco datata 25 febbraio 2016 - deve dimettersi entro cinque minuti». Peccato che, nel grillismo della doppia morale alla Di Maio, quel precetto (sbagliato) non valga più appena non riguarda gli altri. In ogni caso, ora c'è il reprobo Pizzarotti che sarcasticamente dichiara: «Seduto sulla riva del fiume, vedo passare un sacco di gente». Soprattutto a Di Maio si riferisce e forse il Pizza non è il solo a vedere un grande futuro dietro alle spalle dell'avventuriero dalla faccia pulita.

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