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Data: 22/09/2016
Testata giornalistica: Il Messaggero
Il niet della Raggi alle Olimpiadi: da irresponsabili candidare Roma. Virginia snobba il Coni e se ne va in trattoria: dagli onori a Pallotta allo sprezzo sui Giochi. La Capitale perde 5 miliardi e migliaia di posti di lavoro

ROMA Sono le 15. In Campidoglio tutti la cercano, Virginia Raggi. A partire dal presidente del Coni Giovanni Malagò che dopo trentasette minuti di anticamera se ne va via con Luca Pancalli. Buca. La sindaca - insieme al vice Daniele Frongia - dirà poi in conferenza stampa quanto avrebbe dovuto annunciare prima ai vertici del comitato olimpico e paralimpico («Ho avuto un contrattempo», si giustifica anche se poi scappa fuori che si trovava in una trattoria). E cioè che «è da irresponsabili dire sì a questa candidatura». Quella di Roma alle olimpiadi del 2024. La conferenza stampa tanto attesa è nella sala della Protomoteca, inizia alle 16 e qualche minuto.
IN PLATEA In prima fila quasi tutti gli assessori (assenti Berdini e Bergamo, ma anche il presidente del consiglio Marcello De Vito). L'evento è già di per sé una notizia: primo incontro con la stampa da quando la Raggi è sindaca. Tutto è in diretta sul blog di Grillo. La Raggi argomenta il «no» ai Giochi così: «Lo abbiamo detto con forza in campagna elettorale, non abbiamo mai cambiato idea: non ce la sentiamo di caricare altri debiti sui romani e gli italiani». E poi porta l'esempio dei Giochi del 60 che «ancora paghiamo» (la sindaca parla di un miliardo di euro in realtà il conto degli espropri ammonta a qualche centinaia di migliaia). Le olimpiadi, per la grillina, sono «un assegno in bianco». Anzi, peggio: «Un sogno che si trasforma in incubo». Seguono le proiezioni di slides e video sul maxischermo. Buio in sala. Elenco degli impianti rimasti incompiuti per i mondiali di nuoto. Accuse a presunte speculazioni pronte a volteggiare nell'aria. Ammissione di benaltrismo: «Roma - dice la sindaca - è una città invivibile». Quindi c'è ben altro prima. Vengono citati lo studio dell'Università di Oxford sui costi lievitati nelle città che hanno ospitato i Giochi, ma anche gli esempi «degli ex compagni di viaggio». Di chi cioè ha gettato la spugna come sta facendo adesso Roma (Boston, Amburgo, Madrid). Ma la sindaca in campagna elettorale non aveva detto che avrebbe indetto un referendum? Risposta: «C'è già stato, il Pd ha trasformato il ballottaggio in una scelta sui giochi, il 70 per cento dei romani è con me». Giachetti a distanza le risponde: «In verità scappa perché ha paura di governare». Adesso il «no» della Capitale sarà messo nero su bianco in Aula Giulio Cesare, entro il 7 ottobre, con una mozione depositata dai grillini destinata a ribaltare quella approvata dall'amministrazione Marino.
Raggi nega che la mossa - «io non ho mai tentennato» - le serva per ricompattare il M5S intorno al Campidoglio. Anche se Grillo, che l'ha seguita in diretta, nel pomeriggio la chiamerà per dirle «brava».
LA LINEA Frongia assicura (senza però spiegare con quali finanziamenti) che ci saranno «riduzione degli sprechi, investimenti mirati sui grandi impianti, tariffe accessibili». Si parla di un progetto per le Vele e per lo stadio Flaminio. Il no comporta un danno erariale? «Il danno erariale - dice il vicesindaco - c'è stato ma per tutte le opere incompiute dei grandi eventi del passato». Il resto della conferenza stampa è fatto di discipline sportive. Dribbling sulle critiche del M5S («Le scrivono i giornali»), slalom sulla copertura economica dei progetti alternativi per lo sport («Dobbiamo ancora quantificarli»), ma anche salto nel buio su chi dovrebbe far di conto nella Capitale d'Italia. Ecco, l'assessore al Bilancio? «Presto arriverà», dice la sindaca che a volte sembra tradita da un sorriso un po' troppo nervoso. La sala, tra assessori e consiglieri pentastellati, applaude di tanto in tanto. Finita la scena rimane il giallo dell'appuntamento con Malagò. Dov'era la sindaca? «Impegni personali», secondo il Campidoglio che però non aggiunge il dove: in trattoria.

Virginia snobba il Coni e se ne va in trattoria: dagli onori a Pallotta allo sprezzo sui Giochi

ROMA Il sindaco Raggi, nel suo sgarbo che non è solo istituzionale ma è anche rivolto in generale contro la città di Roma e contro la Capitale d'Italia, ha rifiutato di parlare con Giovanni Malagò. Proprio lei che viceversa, mentre ha inflitto 40 minuti di anticamera al presidente del Coni per poi non presentarsi all'appuntamento, appena qualche giorno fa ha accolto in maniera principesca nel suo studio sul Campidoglio il patron della Roma, James Pallotta. Concedendogli anche il privilegio dell'affacciata dal balcone con vista sui Fori. Una diversità di trattamento plateale e probabilmente riconducibile al fatto che la Raggi, intenta ad affossare la chance olimpica, ascolta le sirene della lobby del nuovo stadio della Roma a Tor di Valle. Sponsorizzato anzitutto da quell'assessore Berdini che è noto ormai come «lo stadista» e che il sindaco non può permettersi il lusso di perdere vista la precoce, ed epidemica, moria in giunta.
E che dire intanto della mancanza di rispetto, da parte del sindaco, nei confronti di Luca Pancalli, del Comitato italiano paralimpico, che è disabile in sedia a rotelle? Anche a lui, insieme a Malagò, sono state inflitte l'inutile attesa e l'umiliazione, dopo la fatica di essere portato lassù nell'anticamera della Raggi, di non essere ricevuto.

RITORSIONE E comunque per volere o per capriccio dell'inquilina del Campidoglio - la Raggi si è offesa per la preventiva richiesta di streaming da parte di Malagò, sdegnosamente rifiutata in nome di una trasparenza che non è più la suprema virtù della neo-politica grillina? - ieri è andato in scena il teatro dell'incomunicabilità. Tra due personaggi, il presidente del Coni e il sindaco di Roma, che appartengono a due mondi diversi, ma tra diversi ci si parla se si vuole, e che incarnano due stili antitetici: uno è uomo di mondo, l'altra al mondo si è appena affacciata. Lui è pragmatico e tessitore, lei è ideologica e pauperista, irriducibile allo scambio di vedute per mostrare fedeltà alla linea dettata dal suo partito.
E così, come se Roma fosse un palcoscenico per pantomime, uno entra - perché invitato: «Ho anche dovuto cambiare l'agenda pur di esserci» - nel palazzo senatorio e l'altra, l'ospitante, non si fa trovare. Lui esce dall'anticamera del sindaco dopo avere aspettato tanto, e se ne va deluso per la «scortesia» ricevuta ovvero per il ritardo della Raggi, e lei entra nella stanza appena lasciata da Malagò. Lei fa la sua conferenza stampa in Campidoglio e lui a sua volta convoca i giornalisti nella sede del Coni. Duello a distanza. E anche qui due stili. Ogni affermazione del sindaco, il presidente del Coni la va a verificare e la smonta.

A TAVOLA Mentre Malagò la aspettava invano al Campidoglio, lei stava in una trattoria da pochi soldi nella zona della stazione Termini, a via dei Mille, in un tavolo per tre: preferendo un pranzetto con i suoi collaboratori, lontano dal presidente del Coni, piuttosto che parlare con lui di questioni assai rilevanti per Roma. Uno sgarbo, livello cheap, nello sgarbo, mascherato da «impegni personali» (questa la motivazione che lo staff della Raggi ha dato a Malagò per giustificare la scorrettezza).
Mai uno come Malagò, che conosce le buone maniere, avrebbe potuto immaginare un comportamento così platealmente respingente e di disprezzo. Eppure il presidente del Coni era arrivato con 7 minuti di anticipo all'incontro fissato al Campidoglio per le 14,30 nel palazzo senatorio. Dopo poco arriva nella stanza dell'attesa una collaboratrice della Raggi che assicura: il sindaco sarà qui a momenti. Alle 14,50, Malagò chiede: «Come mai non è ancora arrivato il sindaco?». La risposta vera sarebbe dovuta essere la seguente: perché preferisce gustarsi l'ammazzacaffé in osteria piuttosto che rilanciare la Capitale tramite i Giochi. Oppure: non arriverà perché è la prima a ritenere poco saldi i suoi argomenti anti-olimpici. O cose così. E invece? «Il sindaco sta incontrando Delrio, e poi arriva», viene detto a Malagò. Peccato però che quell'incontro con il ministro fosse già concluso da un pezzo, alle 13,15. E poi pranzetto in trattoria come ciliegina sulla torta della poca educazione.
Oggi però, Malagò e la Raggi si dovrebbero vedere al Foro Italico per la presentazione degli Europei di calcio 2020 che la sindaca ieri in conferenza stampa ha chiamato «i mondiali europei». Lei ci sarà, magari arrivando in ritardo? Pare proprio di sì. Ma resta la morale della vicenda di ieri, che racconta dell'assenza di affidabilità e del rifiuto, da parte del sindaco, del rapporto fiduciaro con altri che non siano il Direttorio e lo staff di Grillo & Casaleggio.

Malagò: demagogia senza rispetto L'ipotesi commissario di governo

ROMA Per capire quanto potrebbe costare il «no» al sogno olimpico a Roma (e ai romani), basta sfogliare le pagine del dossier presentato al Comitato olimpico internazionale e contare gli interventi che verrebbero cancellati. Ma nelle stanze del Coni ieri iniziavano a fare un altro calcolo: quanto potrebbe costare ai consiglieri comunali che voteranno la delibera per ratificare lo stop? Se ci sarà un atto ufficiale del Campidoglio che certificherà il passo indietro, il numero uno dello sport italiano, Giovanni Malagò, ha intenzione di presentare un esposto alla Corte dei Conti. «Un dovere», ha spiegato ai suoi, considerato che per Roma 2024 sono stati spesi fondi pubblici, stanziati dal governo e dal Coni «peraltro dopo una richiesta del Comune di Roma», gestione Marino. E cosa dicono questi calcoli che circolano nei corridoi di Palazzo H? Si parla di 20 milioni di euro di possibili danni per la «mancata continuità amministrativa». Diviso per i 29 consiglieri romani del M5S, fa 690mila euro a testa. Perché il danno erariale è «sempre personale», viene fatto notare. In quanti, tra i grillini, saranno disposti ad accollarsi il rischio al momento della votazione in Aula? La risposta ci sarà la prossima settimana in Assemblea Capitolina. Nel frattempo il Coni ha già chiesto ufficialmente un parere legale per preparare un eventuale esposto.
Una cosa è certa: sotto traccia, una trattativa per tenere in vita la candidatura a Cinque cerchi della Capitale c'è. Non più con il Campidoglio, che ieri «in modo irrispettoso», ha detto Malagò, si è chiamato fuori. Ma con Matteo Renzi. Il capo del Coni già ieri si è sentito con il premier e si rivedranno oggi a Palazzo Chigi. Il «no» grillino, del resto, era nell'aria da tempo. Ed è da settimane che si studiano possibili contromosse. C'è la possibilità di nominare un commissario del governo, un nome forte, dal profilo istituzionale, che prosegua l'iter. Del resto con una presa di posizione convinta del governo, forse, si potrebbe riuscire nell'impresa: convincere i membri del Cio a puntare su Roma, anche senza il sostegno del Comune. «Difficile», ha detto ieri Malagò, ma non impossibile. Anche perché il tramonto definitivo di Roma 2024 produrrebbe danni pesanti. Con un effetto immediato: la cancellazione dei fondi per gli Europei 2020, fondamentali per riqualificare gli stadi in tante città italiane, a partire dall'Olimpico di Roma. E il destino vuole che proprio oggi sia in programma la presentazione del logo, nella sede del Coni. Raggi invitata. Malagò ammette: «Un po' di imbarazzo c'è...».
Un commissario sarebbe uno sgarbo alla Raggi? «È lei quella che non ha dimostrato rispetto», si è sfogato il presidente del Comitato sia privatamente che pubblicamente, nella conferenza stampa convocata nella Sala d'onore del Coni, dopo il vertice saltato con la prima cittadina. Un'irritazione che si è trasformata in sbigottimento quando ha appreso che il «motivo istituzionale» che ha fatto ritardare la sindaca per 37 minuti, era in realtà un pranzo in trattoria. «Stava a tavola, altro che impegno di lavoro al Ministero», si è lasciato andare con i suoi collaboratori più fidati.
L'ATTESA E dire che l'appuntamento di ieri era stato atteso «per tre mesi» da Malagò. Il capo dello sport italiano è stato contattato solo due giorni fa, in tutta fretta. «E ho dovuto smontare la mia agenda per esserci, anche se la sindaca aveva fissato la conferenza stampa solo un'ora dopo». Davanti ai cronisti, Malagò ha scodellato la time-line dell'incontro fallito: «Siamo entrati alle 14.23. Per tre volte ho chiesto dove fosse la sindaca, e ci hanno risposto che stava arrivando. Alla fine, alle 15.07, ce ne siamo andati. Meritavamo più rispetto, per quello che rappresentiamo». Anche la richiesta di mandare l'incontro in streaming, fatta dal Coni, «ci è stata negata». Il presidente del Comitato olimpico non ha gradito neanche i toni usati dalla sindaca in conferenza stampa: «Ho sentito tante falsità, tanti slogan figli della demagogia e del populismo: ora Comune e Giunta si assumeranno le responsabilità delle loro scelte». Significa che bisogna passare da un «atto ufficiale» che revochi la mozione approvata dall'Assemblea capitolina con quasi il 90% dei voti nel 2015. «Ma le consiglio di non presentarla, ho letto il testo e ci sono cose trovate su Wikipedia. Vengono citate città mai candidate, come Amburgo o Boston. Bisogna sapere di cosa si parla, il ritiro va motivato bene».
Malagò contesta poi la narrazione costruita attorno al «no» dalla sindaca: «Le sue slide sono di un'altra era geologica». Dopo l'Agenda 2020 decisa dal Cio, «non si possono più costruire cattedrali nel deserto». Al contrario: interventi diffusi in periferia e con budget limitati. «Roma 2024 sarebbe a costo zero per i cittadini. E siamo sempre stati disponibili sulle modifiche». Il referendum? Malagò ha detto di non essere mai stato contrario. Anzi. «Ho detto: facciamolo. Ma la sindaca conosce bene gli ultimi sondaggi e sta tradendo i suoi principi ispiratori. Consultazioni di questo genere poi si dovevano fare prima, non quando siamo vicini al traguardo».

La Capitale perde 5 miliardi e migliaia di posti di lavoro

ROMA Virginia Raggi ha costruito il suo «no» alle Olimpiadi di Roma del 2024 su alcuni pilastri. Che però sono fragili. Con i giochi, ha sostenuto il sindaco nella conferenza stampa di ieri, si assumerebbero altri debiti per i romani, che non sono in grado di sostenerli. La realtà è, o meglio sarebbe stata, diversa. L'investimento pubblico previsto era stato indicato nel dossier del Comitato Olimpico in 2,1 miliardi di euro. Nemmeno un centesimo di questo stanziamento sarebbe stato a carico del Comune di Roma. I soldi li avrebbe messi tutti a disposizione il governo nazionale. Matteo Renzi aveva annunciato che già dalla prossima legge di Stabilità, quella che verrà approvata tra qualche settimana, avrebbe stanziato i primi 140 milioni. Roma ne avrebbe solo goduto. I finanziamenti del Tesoro sarebbero serviti a costruire il Villaggio Olimpico, il centro media e gli impianti sportivi. Ora rimarranno nel cassetto. Così come la Capitale non potrà più contare nemmeno sui 3,2 miliardi di euro per finanziare i costi operativi dell'organizzazione dei giochi. Tutta la somma sarebbe stata coperta da capitali privati. Circa un miliardo e mezzo sarebbe stato il contributo del Comitato Olimpico internazionale, mentre altri 910 milioni sarebbero arrivati dagli sponsor. Il resto, in sostanza, dalla vendita dei biglietti per assistere agli eventi. Si tratta di oltre cinque miliardi di euro che, senza i giochi, non saranno disponibili.
Un'altra motivazione messa sul piatto della bilancia dalla Raggi per giustificare il suo «no» alle Olimpiadi di Roma, è che la Capitale starebbe ancora pagando i debiti per gli espropri del 1960, che peserebbero sul debito pregresso per un miliardo di euro. Un'affermazione, quest'ultima, che andrebbe ascritta alla categoria «bufale». È vero che la voce espropri nel debito pregresso è iscritta per 975 milioni di euro, ma il debito residuo che riguarda i giochi del sessanta, secondo i dati della gestione commissariale, non arriverebbe a 100 mila euro. Una cifra fisiologica, legata piuttosto ai lunghissimi contenziosi che si legano alle pratiche di esproprio.

LO STUDIO Ma la vera architrave del ragionamento della Raggi, è uno studio dell'Università di Oxford nel quale sono stati calcolati gli extra-costi sostenuti dai Paesi che hanno ospitato i giochi dal 1960 in poi. Secondo il dossierquelli che si sono tenuti prima del 1999, hanno visto incrementare gli investimenti inizialmente previsti in media del 230% (la mediana, escludendo cioè i casi estremi, è del 160%), mentre quelli post 1999, quando è stato introdotto un nuovo meccanismo per non disperdere le esperienze precedenti e quindi contenere i costi, l'incremento medio è stato del 75% (quello mediano del 51%). In realtà oggi, con l'Agenda 2020, le cose sono ancora cambiate. Il Comitato internazionale non premia più i megaprogetti, ma quelle città che hanno bisogno di pochi investimenti perché hanno la possibilità di sfruttare strutture già esistenti, magari soltanto da rimettere a nuovo. Proprio come Roma. E, in secondo luogo, lo studio di Oxford esamina soltanto i costi e non anche i benefici economici legati all'evento per la città che li ospita.

L'ALTRA FACCIA Il discorso è controverso, ma va affrontato. A Londra grazie alle infrastrutture sportive create con i giochi, è stato calcolato che 16 mila disabili in più hanno iniziato a fare sport. Secondo i dati contenuti nel libro bianco dello sport, un aumento dell'1% delle persone che fanno pratica sportiva, fa risparmiare al servizio sanitario nazionale 80 milioni di euro. Così come di certo hanno impatto sulla vita dei cittadini che ospitano i giochi le infrastrutture di trasporto che vengono costruite. Londra, per esempio, oggi può contare su sei linee ferroviarie in più. Per Roma ci sarebbe stato il completamento dell'anello ferroviario e il collegamento fino a Tor Vergata. E proprio l'Università di Tor Vergata, insieme a OpenEconomics, era stata incaricata di provare a valutare non solo i costi dei giochi di Roma 2024, ma anche i possibili benefici. Per farlo era stato utilizzato un modello messo a punto dalla Banca Mondiale, il «Vane», un acronimo che sta per valore attuale netto economico, una misura che indica la ricchezza finale prodotta dall'investimento nelle Olimpiadi. Nel caso di Roma 2024, il Vane sarebbe stato positivo per quasi 3 miliardi di euro. A fronte di un investimento di 4,2 miliardi, il totale dei benefici economici sarebbe stato di 7,1 miliardi. Per intendersi sarebbe stato come prestare dei soldi ad un tasso del 31,1%. Ed in più, soltanto nella Capitale, secondo gli economisti, si sarebbero creati 40 mila posti aggiuntivi. Tutto questo, adesso, resta sulla carta.

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