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Pescara, 25/11/2024
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Data: 12/10/2016
Testata giornalistica: Il Centro
Chiodi: io, nel mirino dei pm di Pescara. L’ex presidente della Regione attacca la procura: mi considerano un delinquente, ma non ho fatto favori alla sanità privata

PESCARA «Credo che la procura di Pescara abbia condizionato la mia esperienza politica. Nella mia vicenda, la procura ha giocato un ruolo importante e negativo: è intervenuta spesso sulle questioni politiche e a giudicare dai risultati, ad esempio nei casi di D’Alfonso e Venturoni, senza grandi successi». È un atto d’accusa contro i pm pescaresi quello lanciato ieri dall’ex presidente della Regione Gianni Chiodi (Forza Italia). Arrivato in tribunale da imputato per il processo sui tetti di spesa delle cliniche private, alla fine di un’altra udienza preliminare, Chiodi parla senza riserve e dice di essere finito nel mirino dei pm pescaresi: non capita tutti i giorni che un politico dica pubblicamente quello che pensa della procura. «A Pescara mi considerano un delinquente e sono l’unico politico d’Italia a essere imputato per non avere favorito la sanità privata. La delusione è grande perché, invece, in tutta Italia e in Parlamento mi consideravano una persona che ha fatto una battaglia straordinaria per risanare e moralizzare il sistema sanitario e che era anche riuscita a farla». Chiodi è imputato insieme all’ex subcommissaria alla Sanità Giovanna Baraldi, all’ex assessore regionale alla Sanità Lanfranco Venturoni (Forza Italia) e a due tecnici dell’Agenzia nazionale per i servizi sanitari: a vario titolo, i reati sono falso, violenza privata e abuso d’ufficio. Per l’accusa, i contratti firmati nel 2010 dai titolari delle cliniche private sarebbero stati estorti con la minaccia del disaccreditamento delle case di cura e Chiodi avrebbe tenuto un «atteggiamento ostruzionismo» nel fornire i dati alla base della ripartizione degli importi. La prossima udienza, in cui si deciderà su rinvii a giudizio o proscioglimenti, si svolgerà il 30 novembre. Quella di ieri è stata un’altra tappa interlocutoria. Ma se davanti al giudice Gianluca Sarandrea non ci sono state sorprese, il fuori programma è arrivato dopo con le parole di Chiodi. Parole pesate che sembrano indirizzare verso altri amministratori: «Sono l’unico politico in Italia che, nei rapporti con la sanità privata, è inquisito non per aver intascato tangenti o anche altri benefit come viaggi e vacanze pagate, macchine a disposizione e altri vantaggi ancora, ma per aver fatto solo gli interessi del pubblico: sono stato io a far firmare i contratti alle cliniche e a ripristinare i controlli. A questo punto, però, mi dico che forse sarebbe stato meglio fare come si è fatto sempre: usare i soldi pubblici per avere la benevolenza della sanità privata e degli altri imprenditori della spesa pubblica. E questa», sottolinea l’ex governatore, «è una lezione che qualche presidente ha già compreso». Chiodi parla di un’inchiesta diventata nota a ridosso delle elezioni regionali del 2014, quella sui rimborsi dei politici: l’ex presidente è imputato per un peculato di circa 600 euro per pranzi e cene. «Mi sorprende che, all’epoca, sia stato fatto, per il presidente e la sua giunta, uno stralcio da un’altra indagine che, invece, riguardava tutti i gruppi consiliari. Lo stralcio è stato anticipato a gennaio, mentre dell’altra indagine si dice che, per competenza, sia stata trasferita all’Aquila e che sia stata archiviata ma non si sa niente. Mi chiedo perché lo stralcio che riguardava me e la giunta sia stato anticipato e rimasto a Pescara e non sia stato trasferito prima a Roma». Ora, il procedimento è incardinato a Roma: «Ho chiesto di essere sentito ma la richiesta non è stata ancora accolta: il peculato sarebbe di 660 euro in 5 anni e mezzo di governo per pranzi e cene in trasferta di lavoro. Non ci sono cene di lusso, libri, indumenti o biglietti aerei».

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