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Data: 21/10/2016
Testata giornalistica: Il Messaggero
Alitalia, le perdite coperte da Etihad

ROMA Non cambia rotta Etihad che ieri, in un vertice a Palazzo Chigi, ha ribadito l'impegno in Alitalia. Da un lato rivedendo il piano industriale, che sarà varato a inizio novembre, per adeguarlo ad una congiuntura durissima. Dall'altro, assicurando di essere pronta a metter mano al portafoglio, chiamando anche le banche azioniste (Intesa e Unicredit), fino ad oggi riottose a sborsare nuove risorse, a fare la loro parte. Una mossa formale, quella di fronte al governo, come se fosse ancora una compagnia di bandiera pubblica. Di certo irrituale per un vettore a tutti gli effetti privato, ma che se si sente orgogliosamente alfiere del «made in Italy».
Ma l'incontro tra il sottosegretario Claudio De Vincenti e il presidente Luca Cordero di Montezemolo, il vicepresidente James Hogan (presidente e ad del gruppo Etihad Airways, azionista di minoranza con il 49%) e l'ad Cramer Ball, è servito anche a ricomporre lo strappo con l'esecutivo accusato, in una intervista rilasciata da Hogan, di non fare nulla per incentivare il turismo e di favorire le low cost. Parole dure che nascondono una insoddisfazione di fondo. Se è vero che Etihad si aspettava di più dall'esecutivo (lo sviluppo delle rotte da Linate, ad esempio), è anche vero che a pesare sui conti ci sono tanti fattori, molti dei quali legati all'eredità del passato. Primo tra tutti gli accordi capestro siglati ai tempi della joint venture con Air France che di fatto bloccano lo sviluppo in Nord America almeno fino al 2022.
Per non parlare poi di alcune intese sul catering, particolarmente onerose, e della concorrenza senza quartiere delle low cost che, a giudizio di Montezemolo, hanno troppe facilitazioni. Ryanair, che al momento dell'arrivo di Ethiad in Italia aveva il 20% del mercato, ora ne ha il 50%. Non aiuta poi il business di Alitalia il quadro internazionale con un Medio Oriente sempre in fiamme e il terrorismo che allontana viaggiatori e turisti.
AUMENTO DI CAPITALE
Di qui i rumor, peraltro smentiti, della possibilità di ingresso di nuovo soci per rafforzare il capitale e far fronte alle perdite che, secondo i sindacati, avrebbero toccato il milione di euro al giorno: a loro dire, servirebbe quindi una iniezione di liquidità fino a 400 milioni. Cifre che dal quartier generale Alitalia vengono seccamente smentite, così come l'ipotesi di un taglio secco del personale di terra, che verrebbe ridotto di 3 mila unità. Più probabile invece l'inserimento nel piano industriale di salari ridotti e legati alla produttività per piloti e assistenti nuovi assunti.
Nessuna fuga insomma di fronte alle difficoltà, ma la volontà di andare avanti, ripianando le perdite (si parla di 250-280 milioni per tutto il 2016). Di certo anche all'interno delle compagnia si interrogano su alcune scelte manageriali che non hanno ancora inciso, mentre la strategia su lungo raggio e servizio di qualità resta immutata. Alla fine del summit, Hogan e Montezemolo hanno confermato «l'impegno industriale e di sviluppo della compagnia, apprezzando lo spirito di collaborazione ribadito dal governo». Nonostante le turbolenze, i soci arabi non mollano la presa e si guardano intorno, magari per coinvolgere soci italiani. A esempio Fs, che si era fatta avanti prima del salvataggio di Etihad, anche se è difficile che possa tornare in pista.

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