ROMA Anche questo è un tram, o un autobus, chiamato desiderio. Ma non ha nulla di poetico e di teatrale. Viaggia nelle disperazione di Roma e il desiderio di coloro che lo abitano, nelle notti senza meta e senza tetto di chi una casa non ce l'ha, non l'ha mai avuta o l'ha perduta, è quello di dormire su un sedile di una linea dell'Atac. Un giaciglio forse più sicuro e più caldo della panchina a rischio bullismo o del cartone poggiato sul marciapiedi zuppo di umidità. La Capitale degli ostelli mobili, dei dormitori viaggianti, del bus notturno che diventa albergo dei poveri - una volta c'era il complesso di San Michele a Trastevere - è l'ennesima frontiera avanzata di un disagio e di un degrado che sembrano non avere capolinea.
IL RISVEGLIO IN UNA FRENATA Questo popolo che vaga dormendo e che viaggia al termine della notte come in un romanzo più disperato di quello di Céline, ogni tanto si sveglia, per colpa di una buca o di una frenata troppo brusca. Si guarda intorno per un attimo - siamo al Collatino? A San Basilio? A Ponte Mammolo? Ma che importa: la Capitale è tutta uguale agli occhi assonnati di questa gente che meriterebbe John Steinbeck o Jack London per essere descritta - e poi sbadigliando ripiomba nel nulla del suo sonno. Strattonato da una città sempre più indifferente a tutto. Ai piedi del giaciglio, cioè del sedile, i viaggiatori del sonno senza fermata e senza speranza hanno il loro sacco contenente qualche vecchio indumento o un trolley pieno di niente. Sono persone senza volto, ripiegate su se stesse, sembrano corpi senza vita buttati in un angolo della vettura, abituati ad assecondare le scosse dei sanpietrini malmessi e le curve improvvise. Sono per lo più donne. Salgono al capolinea intorno a mezzanotte e scendono alle cinque alla stessa fermata dove sono salite, la stazione Termini o piazza Venezia. Vorrebbero mimetizzarsi, sui sedili in fondo, aprono un occhio ma anche no quando il bus si ferma per un'avaria e ha bisogno di manutenzione immediata. Tutti scendono, loro restano.
Un uomo e una donna, con il loro trolley pieno di disperazione, dormono sodo e non sarà facile svegliarli per il personale del capolinea. L'autista non ci prova neanche. Li conosce ad uno ad uno. «Stasera sono pochi, a volte sono anche dieci o dodici sull'N7, dormono qui tutta la notte», dice un giovane conducente dell'Atac. È sabato sera, le corse dell'N7 sono quattro anziché due e i senzatetto del bus si sparpagliano lungo le tratte che da Termini portano i passeggeri a piazzale Clodio. Un anello di fermate, a bordo tanti giovani e coppie innamorate che scendono lungo gli angoli della movida, qualcuno butta lo sguardo verso i corpi abbandonati sui sedili, sagome abituate a non farsi notare, sembra che neanche respirino. Ma a volte tremano.
C'è un gruppo di ragazzi vocianti che salgono di corsa sul bus. Saranno bulli? Teppisti? Cacciatori di clochard? E allora si vede che sotto il respiro pesante del sonno, che in questi casi è un semi-sonno, la plebe di chi non ha un tetto se non quello del bus è attraversata da un brivido di paura. Da quella sorta di ansia che riguarda tutti, pure gli ultimi, nella città dell'insicurezza random e interclassista.
A volte, mentre vorrebbero nascondersi dentro i sedili rigidi e inospitali, è il loro afrore a tradirli. C'è il passeggero notturno che si tappa il naso e va dal conducente protestando: «Ma che puzza, fateli scendere subito!». Altri si limitano a coprirsi il naso con un foulard. C'è chi a gran voce chiede di aprire un finestrino, chi borbotta. Nessuno li sveglia però, perché tutti hanno paura di tutti. E i derelitti del sonno viaggiante - chi è quello, un padre separato finito sul lastrico? Un ex cervello in fuga che è tornato senza fortuna? Un nomade allontanato dai suoi simili? - sembrano provare la vergogna della loro condizione. E nascondono il loro volto ripiegandolo sul ventre e, quando raramente cambiano posizione, dai capelli arruffati spunta un viso giovane, magari neppure quarantenne.
I CELLULARI RUBATI Ai piedi, questo popolo di sonnambuli porta di solito ciabatte o scarpe da tennis leggere tirate fuori chissà da quale anfratto. «Alcuni sono clochard - spiega un altro autista delle linee notturne - altre persone, invece, hanno perso tutto e questa è diventata improvvisamente la loro vita». Ci sono donne habitué dell'N7, altre prediligono l'N25 (corsa Conti-Olgiata) e altre ancora le trovi notte dopo notte e per tutta la notte sull'N9 (Termini-Laurentina). Basta aspettarle al capolinea e salgono come gatti. L'inconfondibile trolley rovinato le segue. Sbirciano un posto libero, si sistemano e appena il bus notturno parte, cadono addormentate. Le infastidisce solo l'aria condizionata, appena sentono arrivare il freddo dalle bocchette si svegliano e scendono veloci. Ma fuori, col buio e il silenzio, c'è la paura. La racconta Costantino, 62 anni, senzatetto su una sedia a rotelle, che dorme davanti alle vetrate della stazione Termini insieme ad altri 40 homeless: «Abbiamo paura, la notte i marocchini senzatetto vengono a picchiarci e a rapinarci. A me hanno portato via già quattro cellulari e io non posso stare senza telefonino, mi chiama la mia famiglia, deve venire a prendermi mio nipote. Le donne? Dormono sugli autobus, è più sicuro per loro».
Poi arrivano le prime luci dell'alba. Il dormitorio-mobile si spopola della sua lacera umanità, si aprono le porte dei bus per i passeggeri che vanno al lavoro. E tutto deve sembrare normale fino alla notte successiva. Quando va in scena di nuovo questo film del neorealismo romano e la maggior parte di noi, che non ha dormito su un sedile, può dirsi contenta di non averlo potuto vedere.