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Data: 29/10/2016
Testata giornalistica: Il Centro
Per la ricostruzione previsti 2,8 miliardi. Scuole in sicurezza. Padoan: «Pronti ad aumentare le risorse per le aree colpite»

ROMA «Siamo pronti ad aumentare le risorse destinate alle aeree colpite dal terremoto ben oltre i 4,5 miliardi inseriti in manovra». Il governo alle prese con il braccio di ferro con l’Europa sulla questione del calcolo delle spese per il sisma mette in conto, attraverso le parole del ministro delle Infrastrutture Delrio, che il bilancio dei danni è drammaticamente destinato a salire. Una valutazione sui guasti provocati dalle ripetute scosse di questa settimana è impossibile. Ma fonti qualificate della Protezione civile, tirando un sospiro di sollievo per il fatto che le ultime scosse non hanno provocato morti ed hanno insistito su aree meno dense di popolazione rispetto agli eventi del 24 agosto scorso, prefigurano danni «per molto meno della metà in confronto a due mesi fa». Il che fa ipotizzare un costo aggiuntivo di 1,5 miliardi di euro. Sperando, ovviamente, che intanto la terra si fermi. Quella che non è destinata a fermarsi, invece, è la dialettica con Bruxelles. Nella lettera indirizzata alla Commissione Ue, il ministro Padoan ha spiegato che «l’Italia nel 2017 incorrerà in notevoli spese per l’assistenza e la ricostruzione legate al terremoto, per un totale di 2,8 miliardi di euro». Soldi che, ad esempio, serviranno per mettere in sicurezza 42mila scuole, il 30% delle quali hanno bisogno di riparazioni strutturali o di essere completamente ricostruite. Sul punto, però, lo scontro resta aperto. Nella lettera inviata martedì scorso, Bruxelles contesta al nostro Paese l’utilizzo di soldi per interventi non legati strettamente all’emergenza come, appunto, la messa in sicurezza di edifici pubblici e scuole. Palazzo Chigi invece chiede che venga riconosciuta la legittimità di questa spesa che comunque è compatibile con le regole europee e rispetta lo spirito dei Trattati che hanno previsto le “circostanze eccezionali” come variabili esogene che determinano spese che non dipendono dalla volontà politica. Il problema, tuttavia, è che non esiste un elenco di questi eventi ma la Commissione valuta caso per caso. Elemento che produce tensione. Il timore dell’Europa è che l’Italia finisca per tirare troppo la corda facendo rientrare nelle spese emergenziali anche interventi di altra natura. I dubbi dell’Europa si concentrano, infatti, sulla dinamica del saldo strutturale, calcolato al netto del ciclo e delle una tantum. A fronte di una richiesta di correzione dello 0,6% da parte dell’esecutivo Ue, l’Italia registra un peggioramento dello 0,4%: si passa così dall’1,2% nel 2016 all’1,6% nel 2017. Uno scostamento considerato troppo rilevante dalla Commissione che si sarebbe accontentata anche di uno sforzo dello 0,1%. Ancora Delrio, ad esempio, ha quantificato in 350 miliardi (anche se in realtà per i terremoti ne servirebbero 90) la cifra necessaria per mettere in sicurezza il Paese. La questione di fondo è che il governo, pronto a finanziare il progetto Casa Italia con 6 miliardi in tre anni, punta a sovvertire la logica degli ultimi 50 anni. E cioè riparare i guasti (150 miliardi per la ricostruzione negli ultimi 40 anni), piuttosto che mettere in sicurezza (appena un miliardo dal 2010 ad oggi) la parte più esposta e fragile del patrimonio edilizio pubblico e privato. E questa strategia, in mancanza di un chiarimento definitivo con Bruxelles, rischia di provocare incomprensioni a catena. Resta un fatto che in Italia oltre il 50% degli edifici è stato costruito prima del ’74 e che, incredibile a dirsi, nessuna norma impone alle strutture antiche di rispettare le regole anti-sismiche richieste alle abitazioni di nuova generazione. Con il risultato che 4,4 milioni di edifici vengono considerati a rischio grave.

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