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Pescara, 25/07/2024
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Data: 07/11/2016
Testata giornalistica: Corriere della Sera
I 5 Stelle un punto sopra il Pd. Nel centrodestra arretra la Lega. Il governo e Renzi consolidano la posizione nell’indice di gradimento di Nando Pagnoncelli

Lo scenario politico ci restituisce una situazione di sostanziale parità tra le grandi forze: il Movimento 5 Stelle vicino al 31%, il Partito democratico poco sotto il 30%, il centrodestra nel suo insieme vicino al 29%. Il tripolarismo consegnatoci dalle elezioni 2013 rimane la condizione stabile. In questo difficile contesto, sia il governo sia il presidente del Consiglio migliorano lievemente le valutazioni registrate un mese fa. Entrambi crescono di tre punti nell’indice di gradimento. L’aumento può dipendere da molti fattori: da alcune misure previste dalla legge di Stabilità alla «voce grossa» contro l’Europa su deficit e migranti. Molto probabilmente si aggiunge l’effetto referendum. Gli elettori vicini, in occasione di una scadenza elettorale rilevante, tendono a ricompattarsi. Le voci critiche rientrano e ci si stringe intorno al proprio rappresentante. Il risultato è una evidente polarizzazione.

IL SONDAGGIO SULLE INTENZIONI DI VOTO (Guarda il grafico)
La trasversalità iniziale di Renzi, capace di conquistare consensi al di là della propria area, è rientrata. Anche se segnali di apprezzamento vengono altresì dal centrodestra, in particolare da Forza Italia (un elettore su quattro). Quanto al voto per i partiti, va notato, nel centrodestra, il parziale ridimensionamento della Lega. Le ipotesi nazionali e «lepeniste» di Salvini hanno raggiunto il tetto massimo dei consensi, che tendono a diminuire. Oggi in Italia lo spazio per questo tipo di proposte è ridotto per la presenza dei 5 Stelle che aggregano gran parte del voto di protesta. Salvini oggi è in difficoltà: troppo debole per diventare il leader di tutto il centrodestra, troppo forte per diventare gregario. Il Pd mantiene i propri risultati con segnali di contrazione rispetto all’inizio dell’anno. La battaglia referendaria ha accentuato le divisioni interne. Questo non produce crolli nel consenso (la «fronda» sembra essere interna al partito e poco presente nell’elettorato) ma non aiuta a espandere la propria forza.
Il Movimento conferma di aver superato senza sostanziali contraccolpi le difficoltà della giunta romana e del direttorio. Il voto per questa formazione è motivato in misura principale dalle insofferenze verso il sistema politico. In questo senso la capacità effettiva di governo passa spesso in secondo piano e si perdonano errori e ingenuità con la motivazione della freschezza dei suoi esponenti. L’inesperienza è per certi versi motivo di vanto. Ma il test di governo, oggi che dirige alcune grandi città, resta un passaggio importante. Il Movimento ottiene consensi trasversalmente nel Paese. Nelle classi di età giovani e centrali primeggia, lasciando lo scettro al Pd nelle classi di età più elevate. Ha sottratto l’egemonia nell’area dei lavoratori autonomi al centrodestra. Ottiene consensi importanti anche nei ceti scolarizzati e non solo nei ceti popolari. Il problema è che questo insieme non diventa, per ora, «blocco sociale»: cioè non diventa proposta programmatica e di governo in grado di saldare questo ampio fronte.
Le ipotesi di ballottaggio (previste dall’Italicum) confermano la prevalenza dei 5 Stelle che prevarrebbero nettamente sia sul Pd sia sul centrodestra unito. E il ballottaggio Pd/centrodestra conferma lo stacco netto a favore del primo. Tutto questo spiega anche il dibattito sviluppato intorno alla legge elettorale, dove avanzano proposte alternative all’Italicum orientate a ipotesi proporzionalistiche o coalizionali. L’ipotesi proporzionalistica avrebbe, in questo contesto, come prospettiva presumibilmente unica, una grande coalizione, difficile da praticare, tra Pd e parti del centrodestra. Lasciando tra l’altro ai 5 Stelle (e forse alla Lega) il monopolio dell’opposizione. L’ipotesi di coalizioni, ventilata da altri, da un lato consentirebbe di riaggregare forze più ampie al primo turno, ma dall’altro rischierebbe di produrre, come si è già visto nella storia recente, effetti negativi sulla coesione del governo. Insomma, siamo di nuovo alla dicotomia rappresentanza/governabilità.

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