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Pescara, 25/07/2024
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Data: 23/11/2016
Testata giornalistica: Prima da Noi
Articolo 18, riconosciuto il diritto al reintegro sul posto di lavoro. Sentenza “impossibile” e tutela d’altri tempi: quando la giustizia lumaca azzera la Fornero.

ABRUZZO. I paradossi della giustizia lenta: nel 2016 viene sfornata una sentenza, praticamente irripetibile, che riconosce al lavoratore la tutela espressa dall’articolo 18 prima dell’entrata in vigore della riforma Fornero con il governo Monti.
Un paradosso temporale che, da una parte, fa bene al lavoratore e, dall’altra, mostra tutte le criticità di una riforma che ha stravolto la tutela dei diritti acquisiti.
E’ così: qualche giorno fa la Corte d’Appello de L’Aquila ha annullato il licenziamento di una lavoratrice e condannata la società di consulenza Ter Consulting srl a reintegrarla sul posto di lavoro (obbligo che con la riforma è per la gran parte venuto meno) e a riconoscerle tutte le retribuzioni globali, di fatto maturate dall’illegittimo licenziamento all’effettiva reintegra (oggi non più possibile o molto meno).
La dipendente, difesa dall’avvocato Gaetano Mimola del foro di Pescara, contestava la legittimità del licenziamento arrivato il 30 aprile 2011, dunque prima dell’entrata in vigore della riforma Fornero.
Prima di tutto è stata contestata la violazione del principio di immediatezza tra l'infrazione e la contestazione dell'addebito. Insomma gli avvertimenti arrivati da parte dell'azienda in alcuni casi sono giunti 6 mesi prima e licenziamento stesso.

Ad esempio ci fu una contestazione ad ottobre 2010 per ritardi negli orari di ingresso in ufficio e un’altra a novembre 2010 per la mancata comunicazione di assenza sul lavoro.

Secondo i giudici dell’Appello in questi due casi è acclarata «la palese violazione del principio di immediatezza».
Altri richiami ci sono stati a marzo 2011 per ritardi nell'attività di fatturazione e ad aprile 2011 per l'utilizzazione del telefono aziendale per fini privati.
In questo caso le contestazioni sarebbero da ritenersi tempestive ma il giudice fa notare l'insussistenza dei fatti contestati in quanto la società non ha prodotto in giudizio le fatture di cui si lamentava l'errore (tre in tutto) e dunque «non è stato offerto un riscontro documentale della sussistenza degli errori e dei ritardi oggetto di contestazione».
Per quanto riguarda invece l'utilizzo del telefono aziendale per fini privati, l'unica prova portata in giudizio dalla società è stata un tabulato telefonico riferito tra l'altro ad un periodo in cui la lavoratrice risultava assente per malattia.
Ma da questo documento, come sottolinea la Corte d’Appello, non emerge la riferibilità alla lavoratrice di tutte le chiamate elencate o l’estraneità alle mansioni lavorative.
Sempre i giudici fanno poi notare che le chiamate, tre in particolare, sono tutte molto brevi (massimo 2 minuti) e dunque «non appaiono espressive di una condotta arbitrariamente non rispettosa dei principi di correttezza e buona fede».
Nella sentenza si ricorda che per licenziare un lavoratore, quest'ultimo deve conseguire «illeciti di proporzionata gravità e che interrompono in modo irreparabile il nesso fiduciario».
Secondo i giudici dell’Appello in questo caso ci sono solo tre episodi di negligenza nell'attività di fatturazione a fronte di alcune centinaia di fatture emesse annualmente e di un utilizzo del telefono aziendale nemmeno certo.
«Non possono ritenersi problemi talmente gravi da incorrere nel licenziamento» ma bastava una sanzione minore perché, si legge sempre nella sentenza, «la massima sanzione espulsiva non è proporzionata all'effettivo disvalore sociale dei fatti posti a fondamento».

La Corte d’Appello ha preso atto che il licenziamento è avvenuto in epoca anteriore all'entrata in vigore della riforma Fornero e quindi ha reintegrato la lavoratrice nel posto di lavoro precedentemente occupato e ha condannato la società a risarcire i danni derivanti ovvero tutte le retribuzioni globali maturate dall’ illegittimo licenziamento fino all'effettiva reintegra oltre a interessi di legge e rivalutazione.
C’era una volta la tutela del lavoratore….

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